“Il cuore oltre l’ostacolo”. ‘Lu cori non ‘nvecchia’ al Teatro Stabile di Catania
@ Loredana Pitino (17-07-2020)
Era tre misi ca non travagghiava per cui mi fici a cruci e dissi: ju! (da A tistimunianza)
Catania, Palazzo Platamone – Il cuore oltre l’ostacolo. Con questo motto, con questo hashtag il Teatro Stabile di Catania ha deciso di ripartire dopo i mesi di chiusura forzata a causa dell’emergenza sanitaria, con uno degli spettacoli già in cartellone per la stagione 2019/2020 – portandolo in un luogo meraviglioso, seconda sede del Teatro, la cornice storica di Palazzo Platamone –, Lu cori non ‘nvecchia, un’antologia di testi teatrali e poetici di Nino Martoglio, per la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi.
Il Direttore del Teatro, Laura Sicignano, ha spiegato che la scelta di ripartire proprio da questo spettacolo è stata dettata dalla volontà di offrire un omaggio alla città di Catania, alla catanesità, al pubblico catanese e agli artisti e attori catanesi; nove attori del luogo, selezionati tra trenta; tutti talenti ai quali viene affidata la possibilità e la responsabilità di scavare una identità siciliana rivisitata alla luce del presente, non folklorica ma che recupera radici necessarie.
Nino Martoglio, scrittore prolifico catanese giornalista, drammaturgo, sceneggiatore, di fine Ottocento, aderisce ai canoni della contemporanea corrente verista e disegna una moltitudine di situazioni narrative che ha la misura del bozzetto, che spazia dai quartieri popolari della “Civita” alla sensualità panica della campagna siciliana. Ha dato vita ad un campionario di personaggi articolato e vivace caratterizzati da una lingua che è comica e poetica, un dialetto antico e colorito, farcito di un lessico, ormai lontano, ormai testimone di epoche antiche ma dal forte valore ancestrale. (Sfiderei i giovani a comprendere cosa sia la saja o la truscia… ndr) Le scene sono quasi sempre frammenti giustapposti, rapide pennellate che hanno, però, il valore di una testimonianza, di un documento antropologico.
Nella storia del teatro siciliano, catanese in particolare, le commedie di Martoglio rappresentano il più classico dei repertori e, forse, per questo il più inflazionato. La storiografia teatrale ha sempre relegato i testi di Martoglio in un ambito minore, quasi subalterno, quello della letteratura dialettale, disimpegnata, d’evasione.
L’intento del Teatro Stabile, adesso, è stato quello di comporre questo spettacolo “accostando e giustapponendo scene e versi scritti da Martoglio in diverse opere e in differenti contesti, quello di tracciare un percorso che lo porti fuori dalle strade battute per decenni, verso la riscoperta di una verità della parola – per noi il fondamento dello stare sul palcoscenico – e per ritrovare il Martoglio che scriveva per i grandi attori e le grandi Compagnie dei primi del Novecento, da Giovanni Grasso ad Angelo Musco” (dalle note di regia).
Non una commedia unica, dunque, ma un’antologia, un percorso, che si prende la libertà di creare un universo “martoglianao”, surreale, con un accenno di straniamento, a tratti grottesco –utile la suggestione evocativa delle sedie portate in scena dagli attori, sulle quali si siedono ma sulle quali anche camminano, come reificati in oggetti statici che rendono vivi- e provoca lo spettatore a indovinare, riconoscere scene celeberrime e a stupirsi di fronte a poesie meno conosciute.
Così si passa dalla drammatizzazione della poesia A testimunianza, alla poesia A iatta (musicata per l’occasione da Puccio Castrogiovanni, alle scene più note, che il pubblico conosce sicuramente a memoria, del San Giovanni decollato, I civitoti in pretura, L’aria del continente, Annata ricca massarucuntentu, e così via.
La scelta della regia è stata quella di riconoscere nei testi di Martoglio una autenticità di intenti e visioni personali, di costruire “lampi teatrali, poesie e poemetti, una scrittura scenica originale, che parli della vita e dell’uomo con parole leggere o drammatiche, ironiche o spietate, ma sempre rigorosamente autentiche”.
Sulla scena una sola porta, dalla quale entrano ed escono i personaggi che si avvicendano ma che ha un forte valore simbolico, ricordando quel varco fatale dell’ospedale Vittorio Emanuele di Catania dal quale Nino Martoglio precipitò, trovando una precocissima morte all’età di 51 anni. Altro riferimento alla biografia del Catanese, che fu anche autore per il cinema, la realizzazione di una scena che sembra proiettata su una pellicola, con la musica suonata al pianoforte, come in un film muto, con un faro che illumina a tratti i volti dei protagonisti e gli spettatori che mangiano la “semenza”, come un pubblico un po’ distratto.
Alcuni degli attori, più eclettici, più versatili, hanno reso bene il passaggio dai toni tragici a quelli comici, hanno caratterizzato bene ruoli diversi: un’impronta forte la segna nello spettacolo Manuela Ventura, brava perché esilarante nei ruolo di Cicca Stonchiti e poi quasi soubrette quando canta A iatta Lydia Giordano, convincente per la sua esuberanza Valentina Ferrante.
Più che i personaggi i registi hanno portato in scena degli “stati di coscienza”; come nei sogni le vicende si incrociano e si capovolgono, si incontrano e si affiancano, decontestualizzandosi. E’ mancata, però, la creazione di un nuovo contesto; forse l’intento meritevole è rimasto una pretesa poco riuscita perché ne mancava il collante, la giustificazione più convincente.
Lu cori non ‘nvecchia
Teatro Stabile di Catania
testi, adattamento e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi
con Daniele Bruno, Cosimo Coltraro, Greta D’Antonio, Valentina Ferrante, Luciano Fioretto, Luca Fiorino, Lydia Giordano, Marcello Montalto, Manuela Ventura
scenografa e costumista Mela Dell’Erba
dal 16 al 26 luglio Palazzo Platamone, Catania