Dimagrire leggendo. William Banting, ‘Lettera sulla pinguedine’, Graphofeel 2020

Dimagrire leggendo. William Banting, Lettera sulla pinguedine, Graphofeel 2020

@ Antonio Castronuovo (08-07-2020)

Siamo a Londra in età vittoriana: epoca romantica e solenne ma capace al contempo di leggera ironia. Epoca, anche, di espansione commerciale, prosperità e floridezza, il che spiega l’ingrassamento della società benestante (tonda era la regina Vittoria). Non basta: epoca anche di perseguita moderazione, il che spiega l’opposta inclinazione dei paffuti a calare di peso. Anche se poi, tra le persone fuori-peso non tutte erano (e sono) destinate a riuscirci. E se ci riescono la cosa può anche diventare evento lieto, come lo è la vicenda dell’impresario di pompe funebri William Banting, le cui peripezie prendono le mosse da un guaio, o meglio – come lui stesso annuncia nell’incipit della Lettera sulla pinguedine – dai fastidi causati dal più doloroso parassita che affligge l’umanità, l’obesità.

Ecco il guaio: verso il 1861 aveva sui 65 anni, era alto 1 metro e 65 e pesava quasi 92 chili. Non riusciva ad allacciarsi le scarpe e a compiere senza afflizione le piccole mansioni del quotidiano; ansimava a salire le scale, che doveva scendere lentamente all’indietro per non gravare col peso su ginocchia e caviglie. Facile immaginarselo come uno di quei signori ben vestiti, compunti, ma anche gioviali e di tondo addome.

Era all’acme della sopportazione, s’incaponì a calare e ci riuscì: perse mezzo chilo alla settimana e alla fine del giro s’attestò sui 75 chili. Una bella conquista, conseguente a una semplice scoperta: non è detto che un pensionato grassottello sia un tale che consuma cibi smodatamente: gli è che con l’età il fisico reclama meno di quanto fa in gioventù, e dunque bisognerebbe mangiare meno e con meno calorie. Prende il via da questa consapevolezza uno di quei divertenti pamphlet che hanno segnato, appunto, la vittoriana età di Banting e il cui sorridente garbo – tipico del mondo anglosassone – rischieremmo oggi di perdere se non ci fosse qualcuno che li traduce, come ha fatto Fabiana Errico per Graphofeel (pagine 90, € 11,00).

Banting si rivolse a un medico, che gli prescrisse una dieta quasi di sole proteine (carne e pesce). La descrizione di com’era costituita fa anche un po’ ribrezzo: al mattino carne di manzo o montone, rognoni, pesce bollito con una tazza di tè e biscottino. Di nuovo carne, pesce, pollame e selvaggina a pranzo, con verdure, pudding di frutta e qualche bicchiere di vino. Ancora carne o pesce a cena, per concedersi infine il cicchetto serale di gin o brandy.

Vantaggi? Rapidi ed evidenti: perse parecchi chili lungo i mesi, ridusse drasticamente il girovita, cominciò a muoversi senza sbuffare, vista e udito migliorarono, calarono i malesseri. E tutto grazie a una tenace volontà, senza la quale buonanotte a qualunque dieta. Ma insomma, Banting fu talmente soddisfatto da prendere carta e penna, narrare la decisiva avventura e pubblicarne il risultato nel 1863: l’opuscolo che ora leggiamo con tanto di appendici e allegati. Un’operetta che si guadagnò una tale popolarità (come anche la dieta in essa narrata) da impiantare nella lingua inglese il verbo to bant, vale a dire «fare una dieta», e quella di Banting – aumento dell’apporto proteico e diminuzione del calorico – è uscita vincente dalla poderosa onda di diete apparse nella storia recente.

Un libretto davvero gradevole, che oltre a servire come racconto di un successo personale funziona come deliziosa narrazione di un tempo che fu. E alla fine è la narrazione – della vita di un uomo, di uno spicchio di società – a funzionare, più della dieta e della voglia di intraprenderla. Il che rende quest’opuscolo un libro dotato del crisma essenziale: farsi leggere con piacere.