Etsi omnes, non ego. Una introduzione all’etnografia del grottesco ai tempi del Coronavirus
@ Amelia Natalia Bulboaca (23-03-2020)
«C’era da impazzire, e impazzirono. Così cominciano gli Anni Venti…»
(Ceronetti)
«È vietato l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco ed ai giardini pubblici. Non è
consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; sono altresì vietati lo sport e le attività
motorie svolte all’aperto, anche singolarmente, se non nei pressi delle proprie abitazioni. Nel caso
di uscita con l’animale di compagnia per le sue necessità fisiologiche, la persona è obbligata a
rimanere nelle immediate vicinanze della residenza o domicilio e comunque a distanza non
superiore a 200 metri, con obbligo di documentazione agli organi di controllo del luogo di
residenza o domicilio». (ORDINANZA N. 514 Del 21/03/2020 Regione Lombardia)
Alcuni titoli di giornale in ordine cronologico sparso:
Starnutisce al supermercato poi scappa con la spesa
Denunciato per aver starnutito in faccia agli agenti di polizia
Portano i figli a fare una passeggiata, marito e moglie denunciati
Papa Francesco affida l’Italia alla Madonna
Quando incontri della gente,
rimanete un po’ lontani:
si può stare allegramente
senza stringersi le mani.
Baci e abbracci? Non li dare:
finché è in giro quel tipaccio,
è prudente rimandare
ogni bacio e ogni abbraccio.
(frammento di una filastrocca di Roberto Piumini)
Sembra tutto molto strano ma bisognerà abituarsi a convivere con lo strano. Per esempio con l’esplosione di un’epidemia influenzale con annessa epidemia di psicosi collettiva. Per lo meno il proprio castello interiore non ne sarà scosso quando tutto intorno crolla e si sbriciola da mane a sera. Fare l’abitudine non vuol dire capitolare dinanzi all’assurdo ma, al contrario, significa restare vigili e preparati ad affrontare proprio quelle situazioni che abbiamo sempre reputato impossibili, assolutamente inverosimili da verificarsi nella realtà; come quando, nella foga di un’appassionata esposizione, chissà quante volte avremmo esclamato: «se anche fossi l’ultimo essere umano rimasto sulla terra…». Anche se tutti, io no: etsi omnes, non ego! Di fronte all’isteria dalle proporzioni a dir poco surreali provocata dalla presenza tra noi del Covid-19 bisognerà armarsi di nervi d’acciaio per non lasciarsi contaminare dalla follia che sembra avvolgere ogni giorno un po’ di più il tanto provato paese.
Viviamo ormai in totale isolamento, murati vivi nelle nostre tane, tagliati fuori da tutto e da tutti (tranne che dai supermercati, i tabaccai e le farmacie). Siamo stati obbligati a trasformare le nostre stanze in celle di clausura forzata. Per chi – come la sottoscritta – ha sempre prediletto uno stile di vita ascetico i cosiddetti grandi sacrifici richiesti in questi ultimi giorni, settimane (e tra un po’ anche mesi) non dovrebbero pesare più di tanto e invece pesano come un macigno poiché – va da sé – la clausura dovrebbe essere una libera scelta. È sicuramente ciò che avrà dato per scontato anche Blaise Pascal allorché scrisse questo meraviglioso aforisma: «tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo». Ma in questo momento non possiamo più parlare né di scelta né di libertà. Senza entrare qui nel merito dell’efficacia o meno di queste restrizioni delle più basilari libertà individuali (cioè di quelle libertà ‘inalienabili’ dell’individuo) ai fini del contenimento dell’epidemia e con quali modalità esse vengano effettivamente implementate, vorrei soffermarmi invece su ciò che la minaccia epidemica ha scoperchiato: un vaso di Pandora dalle tante, radicate, calcificate ipocrisie. Si potrebbe scrivere un’etnografia (rigorosamente virtuale, in ottemperanza ai decreti che vietano ormai ogni contatto umano) del grottesco che si è sprigionato più fulmineamente di qualsiasi virus entro le «muraglie assurde» del nostro confinamento fisico e mentale. Un autore come Camus, che va molto di moda di questi tempi, cita Ignazio di Loyola e il terzo sacrificio preteso dal santo, quello di cui Dio più si rallegra: «il sacrificio dell’intelletto». Se questa è la strada maestra, allora il furore mistico che avvolge il virus incoronato sta dando i suoi frutti che tutti noi possiamo raccogliere giornalmente – giacché, non dimentichiamolo, siamo pur sempre una comunità che si stringe a coorte nei tempi bui. E la comunità sa che andrà tutto bene.
Le grottesche
Prima grottesca. La tana
«Ma la cosa più bella nella mia tana è il silenzio» – così Kafka. Rintanarsi è diventato obbligo sancito per legge, così come uscire dalla tana anche semplicemente per sgranchirsi le zampe rachitiche e prendere un po’ di sole per sintetizzare la vitamina D è reato. Orbene, in coro diciamo: «abbiamo sentito e abbiamo obbedito!», predisponendoci mansueti a una strana ibernazione dalla durata indefinita anche se la primavera sta letteralmente sbocciando sotto i nostri nasi. In verità vorremmo, oh, come vorremmo starcene tranquilli nel beato silenzio del nostro perimetro privato, piccolo o grande che sia! Magari potremmo approfittare della prigionia per leggere quei libri che da anni avremmo voluto anche solo sfogliare ma disgraziatamente non riuscivamo mai a trovare il tempo per farlo. Sui social si sta diffondendo un nuovo, nauseabondo e maniacale ingozzamento pseudoculturale che, di pari passo con la paranoica didattica online, fa venire voglia di ritornare all’età della pietra per sfuggire ai muri invisibili di questo cyberspazio che si sta lentamente ma inesorabilmente richiudendo su di noi come i muri della prigione nel racconto di Edgar Allan Poe, Il pozzo e il pendolo. Come insetti ci troviamo schiacciati sotto una mole insostenibile di cose da leggere, spettacoli da guardare in streaming e fantastici tour virtuali che ci promettono di portarci alla scoperta di tutti i musei del mondo seduti comodamente sul divano, in camera nostra (non di altri, beninteso). Tutto ciò potrebbe rivelarsi persino piacevole (per gli amanti del masochismo) se non fosse per i rumori che ci arrivano con pregnanza maniacale dalle altre tane: quelle costruite sopra e sotto, a destra e a sinistra della nostra. I vicini possono essere molto rumorosi, e spesso lo sono ogniqualvolta ne hanno la possibilità. E nella quarantena che ci inchioda tutti ai nostri miseri metri quadri e a queste pareti sottili che non si trasformano più in alberi (men che meno infiniti), il rumore diventa violenza gratuita e malvagia. Si era parlato di reintrodurre corsi di educazione civica nelle scuole e forse non sarebbe una cattiva idea. Ceronetti diceva che chi tollera i rumori è già cadavere. Siamo ghermiti dai rumori virtuali e non. Essere è anche essere incastrati in un condominio.
Seconda grottesca. Le Centaure
Esseri mitologici, metà donne metà aspirapolveri/lavatrici/ciambelloni sono le vicine che non ti salutano quando le incroci in cortile e magari non sanno neanche come ti chiami (ancora una volta non scordiamoci di essere una comunità che si stringe a coorte), ma che sentono di permettersi una così grande intimità da far mugghiare il loro diabolico aspirapolvere anche più volte al giorno dritto nel tuo cervello, malcapitata martire della misofonia. Di questi tempi la Centaura che abita nella tana sopra di me lo passa anche cinque volte al giorno in preda com’è a un’insana fregola igienizzante. Un’orgia della sanificazione nella quale l’aspirapolvere perennemente infoiato risucchia polveri e rimasugli di neuroni che non servono più a nessuno. Parimenti, le loro lavatrici non macinano solo capi: strizzano pomeriggi, attimi, giorni, destini. Anche gli ultimi barlumi di speranza e di sanità mentale finiscono risucchiati nel sacro maelstrom della centrifuga con generosa aggiunta di Napisan additivo igienizzante. Dopo aver creato così il sacro vuoto mentale attorno a loro, le Centaure galoppano al supermercato, aspettano pazientemente in fila munite di guanti e mascherina, riempiono il paniere soprattutto di latte, farina, burro e uova di gallina, ritornano, ripassano l’aspirapolvere e si mettono a sfornare mega ciambelloni che poi postano su Facebook per la loro delizia e l’invidia di noi altre comuni mortali.
«È la farina uno dei prodotti più acquistati dagli italiani durante questa quarantena per affrontare l’emergenza Coronavirus, registrando addirittura, come fa sapere la Coldiretti, un +80%. Un incremento tale è dovuto al fatto che i cittadini, costretti a casa, impiegano più tempo in cucina ed ecco che la farina diventa l’elemento indispensabile per il pane, la pasta e i dolci fatti tra le mura domestiche». (fonte: https://gds.it/articoli/economia/2020/03/20/coronavirus-supermercati-presi-dassalto-i-prodotti-piu-acquistati-dagli-italiani-b53a172a-01e4-4381-8f8c-bf248329ccc1/)
* ringrazio l’acuta Lucia Tempestini che ha ammantato di mitologia le mie insofferenze quotidiane, coniando il termine Centaura!
Terza grottesca. I cori
Mentre le nostre libertà individuali stanno letteralmente perdendo terreno ogni giorno (ormai ci è consentito di allontanarci di appena 100, 200 metri dalla propria abitazione) sui balconi si organizzano improbabili flashmob dove si canta tutti insieme, appassionatamente, brani famosi e pieni di speranza come: l’inno di Mameli, Azzurro di Adriano Celentano, Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano, Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno e Felicità di Al Bano e Romina. La brillante iniziativa va di pari passo con il cenobitico hashtag#iorestoacasa (che ormai non è più nemmeno un’opzione). C’è commozione nei gruppi WhatsApp, i video diventano virali, alzando lo sguardo oltre le sbarre della ringhiera qualcuno riesce persino a intravvedere una nuvola dall’inconfondibile sagoma dell’italico stivale e non ci resta che attendere la notizia di una Madonna che lacrimi vera Amuchina.
Mi sembra quasi di sentire quel geniaccio politically so incorrect di Louis C.K. quando faceva notare che sì, è vero, anche gli schiavi cantavano nelle piantagioni ma non lo facevano certo per piacere e perché gli andava di cantare ma per far passare quel tempo che non gli apparteneva più. Almeno gli schiavi erano coscienti di quello che stavano facendo e della loro condizione di schiavi.
Quarta grottesca. L’amore
L’amore ai tempi del Coronavirus. Qualcuno (di sicuro non io) non mancherà di scrivere un romanzo ispirandosi al titolo del blockbuster di Gabriel García Márquez: L’amore ai tempi del colera. In questo mattatoio di baci e abbracci che sono diventati illegali a norma di legge, quale posto potrebbe mai spettare all’amore? Leggiamo addirittura di un aumento del numero di divorzi in Cina come diretta conseguenza della convivenza forzata durante la quarantena. Tra una cantata e un’altra, dai balconi si sentono già le prime mostruose litigate e non è difficile immaginare cosa potrebbe accadere ora tra le ‘mura domestiche’ dove la follia dell’uomo ‘normale’ è chiamata a scatenarsi quasi a rigor di logica? Del resto l’ipocrisia non conosce genere. Quanti mariti e mogli stanno covando livore e rancore nei confronti del proprio partner in questo esatto momento perché impossibilitati di raggiungere i rispettivi/le rispettive amanti e di adempiere alle necessità fisiologiche e spirituali del tradimento? Stando alle statistiche più che di Bel Paese sarebbe più realistico parlare di paese dei cornuti/delle cornute.
Stiamo cambiando le nostre abitudini – ci viene detto – e riceviamo complimenti per i grandi sacrifici che stiamo portando avanti. Potranno davvero cambiare delle abitudini cosi radicate nell’ethos di un popolo come la gestualità e la fisicità della comunicazione tipicamente italiane? Ma in fondo, quei baci e abbracci che ora tutti fuggono come la peste, mantenendo il canonico metro di distanza tra sé e gli altri, e che prima distribuivano a gogò a destra e a manca, esprimevano un reale e sincero amore per il prossimo? O erano piuttosto elargiti meccanicamente persino verso chi mentalmente si mandava a quel paese nell’istante stesso in cui le labbra facevano schioccare un sonoro bacio sulla guancia?
Invero i baci dovrebbero guarire, non ammalare e si dovrebbe abbracciare un essere umano, non una vuota maschera. Forse non è poi un male tanto grande aver rinunciato alle canoniche ma vuote dimostrazioni d’affetto. Chi si ama davvero si tiene vicino anche se siamo ormai bombardati da demenziali tutorial che insegnano come isolarsi persino dai propri cari, in casa.
Quinta grottesca la morte
Infine, l’ultimo tabù: la morte. È lei che tutti sfuggono, è certamente lei che ha seminato il terrore sacro tra le orde dei clienti dei supermercati che, muniti di tessera fedeltà e di carrello fanno sparire le penne (ma non quelle lisce) alla velocità della luce mentre medici e infermieri la combattono tra le corsie degli ospedali, come soldati in trincea. Il virus davvero letale è la vacuità che c’è in queste persone che fanno la gara agli acquisti indossando le mascherine come se fossero un accessorio di moda trendy. In America sono scoppiate delle risse a causa della carta igienica e i giornali riportano la notizia con la pacatezza di chi la follia l’ha già incasellata come nuova normalità: carta igienica finita in America per l’epidemia da coronavirus. E forse dopotutto non è nemmeno tanto strano che la nazione più ricca del mondo abbia intravvisto nelle feci un pericolo di contaminazione con Thanatos, un attentato alla loro traballante supremazia mondiale. Una reazione isterica di una società e di una cultura giunte al capolinea. Avranno fatto tesoro dei severi ammonimenti del predicatore ne Il settimo sigillo, intramontabile capolavoro cinematografico di Ingmar Bergman? «Voi là in fondo che mi guardate come tanti buoi e voi che sedete laggiù soddisfatti e ben pasciuti come porci, vi rendete conto che questa può essere la vostra ultima ora?».
Questa introduzione all’etnografia del grottesco da Coronavirus si dovrà fermare qui per necessità di brevità. L’improvvisa distopia è destinata a durare. La vita non è più sogno ma truce incubo e devo contraddire Pedro Calderón de La Barca perché se dormo vorrei tanto svegliarmi magari grazie agli schiamazzi di quel bambino che ieri, appena sbucato in cortile si è improvvisamente messo a urlare a squarciagola una sola parola: «Libertà!». I bambini sanno da sempre che i re sono nudi.
Concludo ancora con Ceronetti e la sua profetica visione di «un futuro annichilarsi dei sentimenti, in esseri umani pescificati;» Banchi o greggi da immunizzare in massa, poco importa, ormai siamo lì. Ricordiamoci però che «l’unico contravveleno alla disperazione urbana non c’è che questo poco, ma attivo e continuo scambio di compassioni, che ancora ci è dato».