Diario dell’anno della peste (5)
@ Simona Almerini (19-03-2020)
Questi giorni di isolamento forzato ci stanno mostrando i nostri abissi di paure e speranze disattese. Ognuno reagisce come può e allora, citando Rino Gaetano, ritornato in auge, c’è chi va in farmacia, chi è morto d’invidia o di gelosia, chi ha torto o ragione, chi scappa in Calabria, chi fa i complottismi, chi si indigna per la sospensione delle libertà fondamentali, chi osserva gli spostamenti del vicinato, più scrupoloso di un informatore della Stasi.
E io cosa a quale categoria appartengo? Dopo i primi giorni di stordimento, i risvegli con visioni apocalittiche (dovuti soprattutto alla paura per i miei cari che vivono in Piemonte e Lombardia) ora è subentrato un moderato distacco che mi lascia indifferente agli happy hour dei balconi, che mi inibisce qualsiasi riflessione socio-politica sulla democrazia e che mi impedisce perfino di angosciarmi. Questa opportunistica ottusità non mi fa andare al di là del mio naso e mi fa sviluppare strategie per la mera sopravvivenza: limitare le schifezze e gli abusi alimentari, cercare di dormire il più possibile (una tecnica che purtroppo devo ancora potenziare), evitare di controllare compulsivamente diagrammi, bollettini e aggiornamenti sull’avanzamento del Covid-19, alimentare la mia parte intellettuale e quella trascendentale. E per questi ultimi due propositi ho trovato un alleato inaspettato in Giacomo Leopardi. Già, chi l’avrebbe mai detto che il nostro poeta par excellence, il pessimista cosmico, depresso e recluso mi avrebbe portato sollievo?
Tutto è cominciato qualche giorno fa quando ho preso in mano un libro scampato dall’incendio della Pecora Elettrica, Il mondo non è bello se non veduto da lontano. È l’epistolario tra il Poeta e la sorella Paolina edito cinque anni fa da nottetempo. Emerge un rapporto affettuoso e molto profondo tra i due oltre alla consapevolezza di entrambi dell’ingiustizia della condizione femminile che costringe Paolina alla reclusione nella paterna casa di Recanati, alla quale sarebbe scampata solo con un matrimonio, che non avverrà mai. Leopardi amava la vita disperatamente ed era un instancabile viaggiatore che visse in diverse città italiane tra cui Roma, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli. Non appena concluso il libro, mi è venuta voglia di rileggere i Canti, dove sono presenti le più belle poesie di Leopardi, che non leggevo da almeno vent’anni. E così paradossalmente quei suoi versi così carichi di bellezza cosmica ma anche di disillusione, mi appaiono in questo momento la cosa più vicina alla speranza. E quasi ogni giorno, verso l’ora del tramonto, leggo una o due poesie, a volte ritornando sulle mie preferite tra cui L’infinito, Le ricordanze e La sera del dì di festa.
Ma la fame di Leopardi era così grande che ho sentito il bisogno di rivedere Il giovane favoloso di Mario Martone, disponibile sul sito di Raiplay. Il film tratta un periodo in particolare, il sodalizio tra il Poeta e Antonio Ranieri, un giovane e bellissimo rivoluzionario napoletano, per anni esule a Parigi. Quello che non si capisce molto è perché un uomo come Leopardi, misantropo e legato alle sue abitudini, avesse deciso di trascorrere il resto della sua vita (7 anni) con una persona così diversa da lui e soprattutto perché un ragazzo così pieno di vita e amato dalle donne, decise di “sacrificare” le sue ambizioni letterarie e politiche per accudire una persona malata, che seppur geniale, non gli era parente e non conosceva nemmeno così bene. Curiosa sono andata a scovare (benedetti e-book!) il libro che Ranieri scrisse a 75 anni su questo sodalizio. Ho quindi avuto la conferma che dietro alla decisione di vivere insieme (in alcuni periodi addirittura nella stessa stanza) dovessero esserci motivi segreti. Il quadro che emerge di Leopardi non è per nulla quello del Vate ammirato, Ranieri infatti si sofferma sui suoi lati più egoistici e capricciosi e ci tiene a precisare, che le chiacchiere maliziose sul loro rapporto, se per Giacomo erano indifferenti per lui erano inaccettabili.
L’ipotesi più plausibile, a mio personale parere, è che ci fosse un sentimento a senso unico da parte di Leopardi e che Ranieri, sicuramente lusingato, gli rimanesse vicino per tornaconto economico o per altre questioni taciute. Del resto dalle lettere che si scambiavano e soprattutto da quelle scritte dal Poeta, rimangono pochi dubbi:
“Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo“.
Dall’autoconfino a Roma, per ora è tutto. Passo e chiudo.