Il segreto della dea fortuna, il nuovo film di Ozpetek arriva in sala
@ Loredana Pitino (20-12-2019)
Ancora un affresco sulla vita, ancora un omaggio alla vita e a tutti i suoi dolori e i suoi misteri. Ferzan Ozpetek ci regala una nuova pagina del suo immenso poema sull’umanità. Un affresco iniziato molti anni fa, nel 1997 col suo primo film Hammam, e proseguito con una serie di racconti cinematografici intensi, appassionati, ironici, sorprendenti come Le fate ignoranti, La finestra di fronte, Un giorno perfetto, Saturno contro, Mine vaganti, Allacciate le cinture, e l’ultimo inquietante Napoli velata.
Il titolo del film è un riferimento al Santuario della Fortuna Primigenia che si trova a Palestrina.
Per i romani il termine fortuna non aveva l’accezione di significato positiva che usiamo oggi; era il caso, la sorte, la buona sorte come la cattiva sorte. Questa è la Dea fortuna nel film: la coincidenza, l’opportunità inattesa che giunge e taglia in due la vita, con un prima e un dopo. E’ un evento che cambia le cose e le sconvolge. E’ un dolore immenso, la separazione, la paura, il limite dell’uomo, la piccolezza che ci rende fragili e poi forti, forti quando rimane l’amore.
Il film è una storia d’amore, intenso e vulnerabile. Ferito dai tradimenti e le delusioni, ferito dalla vita che ci modifica, ci incattivisce e svuota. L’amore si trasforma, nel tempo perde la patina della meraviglia romantica e diventa grigio, ruvido; “tutti i principi azzurri scolorano nel tempo”.
E quando si arriva al collasso della delusione, cominciano i litigi, le fughe, i dispetti, le gelosie, si innescano tutte le dinamiche dolorose che rendono le migliori famiglie nidi di serpi, luoghi della disperazione. Quando questo succede la vita cambia, i progetti finiscono e “nessuno ti avvisa”.
Due uomini, Alessandro e Arturo, da quindici anni uniti da un legame profondo, arrivano al collasso, al tradimento, alla fine del loro rapporto. Non alla fine del loro amore.
Nel momento del declino arriva Annamaria, l’amica di sempre, con i suoi due bambini dei quali, inaspettatamente, Alessandro e Arturo devono prendersi cura. Perché Annamaria è malata e li affida a loro, perché di loro si fida.
I bambini, la loro autenticità e solitudine disperata, i loro sguardi tristi ma puri, curiosi del mondo, risveglieranno l’amore nei cuori e negli occhi di Arturo e di Alessandro; li renderanno padri, li renderanno eroi quando dovranno sottrarli alla tutela della terribile nonna che, inferocita, li chiama froci, li chiama Jarrusi (il termine peggiore col quale i siciliani hanno sempre definito gli omosessuali). Per loro il dolore definitivo della morte sarà un germoglio di nuova vita, di nuovo amore.
La cifra delle regie di Ozpetek è facilmente riconoscibile in questo film: i colori barocchi delle tavole apparecchiate, le tende che svolazzano al vento, la telecamera usata come un pennello per inquadrare piccoli oggetti e gesti quotidiani (la caffettiera, i bicchieri di vino, le mani dei bambini nel sonno…), o come una giostra intorno ai volti.
Riusciamo perfino a percepire gli odori pungenti dei fiori colorati e dei dolci, il battito del sangue che pulsa nelle vene, i pensieri dei personaggi.
Davvero bella, commovente e ipnotica la scena del ballo in terrazza, sotto la pioggia al ritmo suadente di una melodia orientale. I personaggi tutti vengono colti da una euforia apparentemente immotivata; al culmine del loro individuale smarrimento, si lasciano travolgere dalla voglia di vivere, di gioire e abbandonare ogni controllo razionale. Questo grazie a una fotografia di grande effetto e alla visione d’insieme che blocca l’immagine su piccoli dettagli.
Gli interpreti di questo film appartengono alla grande famiglia di attori del regista turco, trapiantato in Italia dal 1976: Stefano Accorsi ha raggiunto qui una maturità piena, completa, delicata e mai, mai caricata; degno di una menzione il monologo in nave di fronte ai bambini dove emerge il rimpianto per tutto ciò che era andato perduto, una vera dichiarazione d’amore.
Edoardo Leo dimostra un grandissimo sforzo per uscire da ruoli da commedia che gli sono stati finora peculiari.
Jasmine Trinca non stupisce perché di lei conosciamo la bravura, la naturalezza e profondità dei suoi gesti, la dolcezza del suo sorriso; qui è magistrale nei movimenti del labbro e delle palpebre di fronte alla paura e all’angoscia della separazione.
Anche i due bambini sono bravi, naturali e intensi.
Sotto la guida di Ozpetek gli attori raggiungono una uniformità di recitazione dove gli occhi, la pelle, le vene, le lacrime, le mani, recitano e imprimono sullo schermo un segno di umanità vera.
La colonna sonora aggiunge emozione ad emozione: Ivano Fossati ha scritto per Mina la canzone Luna diamante che sottolinea la scena più intensa, quella del viaggio verso la Sicilia; particolarmente bella anche la canzone sotto i titoli di coda di Diodato, Che vita meravigliosa.
Ozpetek non è un regista; è il poeta del cinema italiano, è un pittore lieve e potente. Capace di farci piangere e sorridere, di regalarci tenerezza e solidarietà, di straziarci l’anima e poi massaggiarla con un balsamo di consolazione. La consolazione della bellezza. Perché “la dea fortuna guarisce tutto”.
Quindi, ancora una poesia di sentimenti e pensieri. Una riflessione sulla vita e sulla morte, perché quando “ami una persona e non vuoi perderla devi guardarla intensamente e poi chiudere gli occhi, così lei scenderà nel cuore e lì resterà per sempre”. Un messaggio d’amore, il segreto della dea fortuna.
LA DEA FORTUNA
REGIA Ferzan Ozpetek
SCENEGGIATURA Gianni Romoli, Ferzan Ozpetek
FOTOGRAFIA Gian Filippo Corticelli
MUSICHE Pasquale Catalano
COSTUMI Alessandro Lai, Monica Gaetani
Interpreti:
Stefano Accorsi
Edoardo Leo
Jasmine Trinca
Serra Yilmaz
Barbara Alberti
Filippo Nigro
I piccoli Sara Ciocca e Edoardo Brandi