Diario dell’anno della peste (8). L’esperienza di Stefano Scaramelli
@ Chiara Marconi (15-04-2020)
FIRENZE – Sono passati quaranta giorni dal momento in cui Stefano Scaramelli e la sua famiglia hanno iniziato il lungo calvario che li ha portati a scoprire la positività al virus del secolo, costringendoli ad entrare in un tunnel da cui non sapevano se sarebbero usciti incolumi.
La nostra chiacchierata è iniziata proprio dalla fatidica domanda “Come è cominciata questa brutta avventura”.
“È arrivato tutto all’improvviso, una notte di marzo, il dolore che mi ha preso la testa è stato fortissimo e non mi ha più abbandonato per giorni. Gli stessi sintomi si sono presentati fin da subito anche su mia figlia e mia moglie, il piccolo di otto anni invece è sempre risultato negativo. Il 9 marzo, non scorderò mai questa data, abbiamo fatto il tampone che ha sancito il vero inizio di questa brutta storia, un viaggio attraverso un grande dolore per i sintomi che colpiscono tutti i malati da coronavirus, ma anche tanta consapevolezza, la stessa che mi ha fatto riscoprire i piccoli gesti di cui mi ero dimenticato. Questa malattia mi ha reso sicuramente più forte, soprattutto come padre e come marito; ho dovuto dimostrare, insieme a mia moglie che mi ha accompagnato in questo calvario, che la vera forza era il nostro vivere insieme questa prova, l’essere forte per i nostri figli, la riscoperta di gesti semplici, come quello di un abbraccio. Questa è sicuramente la parte più profonda di questo racconto, la mia dimensione di padre, il rapporto che si è creato con mia figlia, i nostri abbracci, il nostro pregare insieme, la sua scoperta sotto i miei occhi di una fede profonda che la rassicurava e la faceva sentire protetta. Questa malattia mi ha dato la possibilità di avere un tempo per riscoprire cose vere che avevo dimenticato, il lavoro mi aveva fagocitato ed annebbiato la vista. Sono sicuro che il ritorno sarà diverso per tutti noi, per un semplice motivo perché ci siamo riscoperti comunità, abbiamo assaporato la vera essenza e credo che il domani non potrà che essere l’inizio di questo cammino di riscoperta.”
“Cosa hai ritrovato oltre alla famiglia in questo “viaggio”.
“Sicuramente tanta solidarietà e umanità, non solo da amici e parenti, ma anche da tutti i miei compagni di avventura politica, di partito, una bella sensazione, quella di poter sentire la loro vicinanza e il loro grande calore. Non esistono qualifiche, ma solo nomi e volti di persone che hanno dimostrato la vicinanza con una telefonata, un gesto di affetto. Tra tutti Matteo, che nonostante sia il leader del nostro partito non ha tralasciato un giorno senza aver fatto sentire la sua presenza con semplici telefonate che mi hanno riscaldato il cuore e l’animo”.
“Cosa farai una volta finita la tua quarantena, quando potrai finalmente tornare alla libertà?”
“In questi giorni ho riscoperto la normalità riprendendo a lavorare, in maniera virtuale si intende, ma questa modalità ha reso il mio vivere questo momento più normale, un modo per tornare ad assaporare una quotidianità più spensierata. Però per tornare alla domanda, vorrei mettere a disposizione la mia esperienza a servizio della ricerca, ho inevitabilmente prodotto gli anticorpi per combattere questo virus, mettere il mio sangue a disposizione della ricerca per scoprire prima possibile un vaccino. Ma anche poter aiutare il prossimo, tornare a dare una mano nel volontariato. Come politico invece mi batterò per riuscire a tornare a una veloce riapertura del sistema economico e produttivo, non ci dimentichiamo che non dobbiamo aver paura di morire, ma neanche aver paura di vivere. Se proprio devo dire quale sarà la prima cosa che farò in assoluto, sarà poter finalmente abbracciare mio figlio, dopo 40 giorni”.