Tre anni, una vita
“La cena di Toni”- un film di Elisabetta Pandimiglio, con Toni De Marchi,. Prod. Ita, 2017.
di Danilo Amione
°°°
Toni De Marchi è un grande giornalista, dal 2004, appena 53enne, affetto da una grave malattia invalidante la sua deambulazione. Elisabetta Pandimiglio, nota film-maker e documentarista cine-televisiva, oltre che scrittrice e drammaturga, ha deciso, dopo averlo conosciuto, di fare un film proprio su di lui e sulla sua nuova condizione di vita. Ad un occhio poco attento, il lavoro della Pandimiglio potrebbe sembrare finalizzato solo alla denuncia della situazione di disagio in cui vive un disabile nel nostro paese, come pure un’ulteriore testimonianza sulla quasi impossibilità per certi farmaci di circolare nel nostro paese, perché elaborati con sostanze oppiacee ancora poco “digeribili” dalle nostre leggi e, soprattutto, dal nostro sentire comune.
Il film è, certamente, anche questo, ma va molto oltre. Definire un documentario il lavoro della regista romana è davvero difficile, se per documentario si intende il racconto asettico e fenomenico di un fatto attraverso le immagini, ove mai ciò fosse possibile. Come per le altre sue opere di no-fiction (tra cui ricordiamo, “Sbagliate”, ’14; “Più come un artista”, ’10; “Mille giorni di Vito”,’09;“Motoboy”,’04, coregia con Cèsar Meneghetti), la Pandimiglio, che ha ricevuto, oltre a numerosi premi, anche due Menzioni speciali ai Nastri d’argento, “usa” il genere documentario per entrare, con il suo sguardo, dentro le ragioni del suo vedere, che hanno sempre avuto come centro di analisi mondi poco conosciuti e a volte anche “disturbanti”. In questo caso, una malattia, giunta, pian piano, a stravolgere la vita di una persona da sempre in giro per il mondo e adesso costretto a trascorrere le sue giornate in casa. Il film si sviluppa dal 2012 al 2014, anno quest’ultimo in cui De Marchi riesce, finalmente, dopo due anni di attesa, a festeggiare con una cena, ricca di parenti e amici, l’arrivo di un farmaco in grado di lenire, quantomeno, le sue sofferenze.
In questi due anni, l’occhio della regista riesce a raccontarci tanto di Toni e del suo nuovorapporto con il mondo. Dalla passione per la cucina, come Nero Wolfe, al quale somiglia fisicamente, e nella quale è coinvolto anche il suo domestico Edison, altra analogia con il personaggio di Rex Stout, ai compiti da far fare ai nipotini, al suo lavoro di giornalista che continua proficuamente “a distanza”, alle periodiche sedute di fisioterapia, la vita di De Marchi èscandita da impegni quotidiani che lo aiutano a superare quella solitudine che è la costante di tanti portatori di handicap. Ed è proprio in queste situazioni che la cinepresa della Pandimiglio riesce a cogliere, in maniera prodigiosa, tutto ciò che si nasconde dietro atti e gesti che sembrano ordinari. I frequenti primi piani su Toni raccontano di un uomo che sta provando a vincere la più grande scommessa della sua vita, la rinascita. Il suo sorriso, la sua ironia, ma anche i suoi scatti d’ira sono colti all’improvviso, quasi a sottolineare quanto egli prima aveva raccontato a voce a chi lo sta “registrando”. E le sue sono parole anche dure, sferzanti, verso se stesso e verso il suo destino.
L’impotenza dinnanzi alla malattia che si amplifica al pensiero delle tante occasioni mancate nella vita, compresa quella di un figlio mai avuto e fino ad allora mai desiderato. La preoccupazione per un futuro sempre più incerto e del quale egli è pienamente consapevole non esiste possibilità di condivisione che non sappia di egoismo. La paura della dipendenza fisica dagli altri, che scuote lo spettatore,e a cui Toni accenna con interrogativi forti e che nessuno potrà mai sciogliere fin quando non si presenteranno nella loro sostanza.Lo sguardo dell’autrice, qui, si riempie di una grande tenerezza, nel cogliere Toni, sulla sua carrozzina, che si addormenta solo e stanco davanti alla televisione o accanto al suo tavolo da lavoro. Fuori c’è il mondo, il susseguirsi delle stagioni, c’è Roma, con il suo quotidiano, i suoi lividi tramonti, ripresi dalla finestra, oramai unico legame con un passato divenuto imprendibile.
Quello della Pandimiglio non è solo cinema, anche se grande, è amicizia colta nel suo stesso farsi, complicità che diventa necessario raccontare, per dare speranza a quanti, come De Marchi, vivono esperienze davvero difficili da reggere. Perché Toni lotta, e lotta forte anche per il suo farmaco, telefonando, incessantemente, a medici e farmacisti, e interessando anche giornali e televisioni con cui ha collaborato. Per questo, il film è anche commovente, per il modo con cui riesce a cogliere questi cambi di umore, mostrando un uomo sempre attento alla sua dignità e con un coraggio da leone, nonostante il peso confessato della sua condizione. Lotta e vince Toni, perché il farmaco arriverà, alla faccia di tutto e tutti.
E, finalmente, egli potrà dare la bella notizia all’”invadente” amico Osvaldo, con il quale darà il via ai preparativi per la grande cena che dà il titolo al film. L’epilogo, con i tanti amici e parenti, alcuni anche “indesiderati”, commenta scherzosamente Toni, sarà l’occasione, l’ennesima, per De Marchi di riflettere sull’importanza mai data prima all’amicizia, oggi fra le cose più preziose per lui da recuperare. Stavolta Toni non è più in primo piano, e neanche solo in campo lungo, è uno dei tanti, in un totale festoso che la Pandimiglio sceglie come metafora obbligata per tutti: la felicità è solo condivisione.