‘La tragedia del vendicatore’, al Piccolo Teatro castigo e crudeltà a ritmo di swing

La tragedia del vendicatore, al Piccolo Teatro castigo e crudeltà a ritmo di swing

@ Amelia Natalia Bulboaca (15-03-2020)

 

Il sentimento della vendetta è così grato, che spesso si desidera d’essere ingiuriato per potersi vendicare, e non dico già solamente da un nemico abituale, ma da un indifferente, o anche (massime in certi momenti d’umor nero) da un amico (Giacomo Leopardi)

Surely we’re all mad people, and they

Whom we think are, are not – we mistake those:

‘Tis we are mad in sense, they but in clothes /

Di certo siamo tutti matti, e quelli

che definiamo tali non lo sono-

noi matti in testa, loro nei vestiti

(Thomas Middleton)

 

Milano – Il teatro elisabettiano-giacomiano con le sue «commedie del terrore» e i«thriller dai risvolti grotteschi» interessa molto Declan Donnellan che da trent’anni ha un rapporto molto stretto con il Piccolo e questo adattamento de The Revenger’s Tragedy che torna in scena al Teatro Strehler dopo il successo della stagione precedente, è per il regista britannico anche il primo banco di prova con un cast di attori italiani.

Le opere di Thomas Middleton, bardo inglese contemporaneo e collaboratore del più famoso William Shakespeare, hanno conosciuto un vero e proprio revival nell’ultimo decennio in Inghilterra e negli Stati Uniti. Certo, in Italia Middleton è meno conosciuto e poche sono state le messinscene delle sue opere. Negli anni Sessanta e Settanta Luca Ronconi propone tre dei suoi capolavori: The Changeling (‘I lunatici’) nel 1966, A Game at Chess (‘La partita a scacchi’) nel 1973 e nel 1970 proprio ‘La Tragedia del Vendicatore’ recitata tutta al femminile. La paternità di questo testo è stata assegnata, fino alla fine del Novecento, al drammaturgo Cyril Tourneur – destino in verità toccato in sorte anche ad altre opere middletoniane. Figura scomoda, Middleton è stato offuscato e censurato proprio per il carattere di denuncia delle sue city comedies che sono anche una violenta critica della condotta abominevole della Corte inglese. Intrighi, lussuria, narcisismo, mercificazione dei rapporti umani e prevaricazioni di ogni genere sono raccontate da Thomas Middleton con la spietatezza ironica di un «dissenso programmatico» che infastidisce e provoca il risentimento dei potenti. Infatti, il poeta rischia il carcere e, tre anni prima della morte, deve abbandonare il teatro.

La tragedia del vendicatore (1606), allegoria dei vizi che turbano da sempre l’animo umano (i nomi dei personaggi parlano da sé: Vindice, Lussurioso, Supervacuo, Ambizioso, Spurio, Castizia) è un’opera potente e ancora attuale, come tutti i grandi classici – sembra persino stucchevole sottolinearlo. Essa «racconta storie che sembrano molto moderne», afferma Donnellan che assieme a Nick Ormerod riesce a rappresentare questo testo in un allestimento davvero spumeggiante: i costumi moderni si mischiano a oggetti sontuosi che ricordano i fasti monarchici (la corona, lo scettro, gli arredi che penetrano nello spazio scenico e poi scompaiono lentamente dietro al grande muro di legno color rosso sangue grazie alle strutture mobili), a indicare che la fiera dei vizi e della vanità alla quale stiamo assistendo trascende il dato storico e non è per niente cambiata nei secoli.

La frusta di Middleton non manca un bersaglio: da vero «palombaro degli orrori», come direbbe Cioran, dagli abissi della psiche umana riesce a riportare in superficie e a esibirle davanti al pubblico affamato di vedere i potenti e i loro vizi messi alla berlina, le gemme più raccapriccianti che la psiche umana è riuscita a partorire: sete di vendetta, corruzione, adulterio, incesto, omicidio. Una caduta inarrestabile, un’orgia di morte travolge i personaggi de La tragedia del vendicatore. A scatenarla è la morte di Gloriana, promessa sposa di Vindice, stuprata e avvelenata dal Duca poco prima delle nozze. Vindice (un conturbante Fausto Cabra), con l’aiuto del fratello, Ippolito, valletto di Lussurioso, il figlio maggiore del Duca, si farà introdurre a corte per mettere in atto il suo piano di vendetta: uccidere lo scellerato Duca. Penetrato nel covo di corruzione del Palazzo sotto le mentite spoglie di un losco personaggio, Piato, si guadagna la fiducia di Lussurioso offrendogli i suoi servizi: aiutarlo (pur controvoglia e pervaso di disgusto) a sedurre Castizia, sua sorella, desiderata dall’erede al trono proprio per la sua illibatezza che egli brama di profanare. Si innesca così una commedia degli equivoci che travolgerà l’intera Corte (il Duca, la Duchessa, i figli, i figliastri) ma anche i congiunti di Vindice/Piato – come mosche finiranno tutti avviluppati nella ragnatela dei propri intrighi che li porterà verso l’inevitabile catastrofe. Memorabile è la scena della seduzione di Graziana (interpretata da Pia Lanciotti che veste anche i panni della Duchessa), madre di Vindice, Ippolito e Castizia. Ella cede alle lusinghe di Vindice/Piato accettando di fare pressioni sulla figlia affinché si consegni a Lussurioso. Vindice si erge a giudice e castigatore della madre anche se tutto si snocciola in un registro farsesco, senza sfiorare le vette tragiche che un simile quadro lascerebbe presagire.

Il vendicatore, Vindice/Piato è un Giano dal doppio volto scisso tra inganno e autoinganno: si vuole fustigatore delle perversioni e delle malefatte dei potenti ma finisce nella sua stessa trappola poiché la sete di sangue lo fa precipitare nel baratro assieme a tutti gli altri. Onnipresente nella pièce è proprio la morte, a partire dal teschio della fidanzata dai lunghi capelli (chiara parodia amletiana) dalle cui labbra cosparse di veleno il Duca riceverà il suo ultimo, fatale bacio. Truce, crudele, dal generoso spargimento di sangue è la scena della tortura del Duca (gli vengono strappati gli occhi, gli viene mozzata la lingua) o del suo cadavere, presentato a Lussurioso come Piato e ulteriormente massacrato. Il teatro della crudeltà di Antonin Artaud è portentosamente presente in Middleton e non si può non essere scossi da un brivido alla vista di quella gola tagliata che fa schizzare fiotti di sangue o di quelle orbite martoriate nella frenesia del supplizio vendicativo. La platea mormora ma il teatro della crudeltà accetta questo rischio perché l’obiettivo non è certamente il godimento ma la sublimazione. Insegna, infatti Artaud:

Un’azione violenta e concentrata è una forma di lirismo: richiama immagini sovrannaturali, un’emorragia di immagini, un getto sanguinante di immagini sia nella testa del poeta che in quella dello spettatore.

Quali che siano i conflitti che angosciano la mente di una determinata epoca, sfido lo spettatore cui delle scene violente abbiano trasmesso il loro sangue, che abbia sentito in sé il passaggio di un’azione superiore, che abbia visto nel bagliore di vicende straordinarie i movimenti straordinari ed essenziali del proprio pensiero – la violenza e il sangue posti al servizio della violenza del pensiero –, lo sfido ad abbandonarsi, dopo, a idee di guerra, di sommossa e di sfrenati assassinî. Espressa in questo modo può sembrare un’idea rischiosa e puerile. Si sosterrà che l’esempio provoca l’esempio, e che se l’atteggiamento della guarigione invita alla guarigione, quello dell’assassinio invita all’assassinio. Tutto dipende dal modo e dalla purezza con cui vengono fatte le cose. C’è un rischio. Non si dimentichi tuttavia che il gesto teatrale è violento, ma gratuito; e che il teatro insegna appunto l’inutilità dell’azione che, una volta compiuta, non è più da compiere, e l’utilità superiore di una condizione inutilizzata dall’azione che, rovesciata, produce la sublimazione.[1]

La tragedia in questo adattamento è solo nel titolo. In realtà lo spettatore è invitato a un goliardico banchetto della morte che trascina tutti i personaggi in una buffonesca corsa al trono e all’omicidio per eliminare i rivali, ma quando tutti sono rivali di tutti non si può che finire in un sabba sfrenato e insensato. La danza macabra a ritmo di swing (musiche originali di Gianluca Misiti, il brano Ahi Ahi Ahi è cantato da Raffaella Misiti) che apre e chiude lo spettacolo fa capire che non si è nei dintorni della solennità ma della farsa noir (come non ricordare anche la scatola refrigerata contenete la testa decapitata di Junior che i fratelli Ambizioso e Supervacuo hanno fatto giustiziare per sbaglio, al posto di Lussurioso?).

Suggestivi gli enormi quadri rinascimentali sui quali si schiudono le porte di legno al cambio delle scenografie: spiccano il Ritratto di un uomo con una manica trapuntata di Tiziano e il Ritratto dei duchi d’Urbino di Piero della Francesca. Il cast eterogeneo è molto affiatato e la versione italiana semplificata del testo middletoniano a cura di Stefano Massini regge alla prova anche se non corrisponde al rigido registro della variante inglese dei soprattitoli che hanno accompagnato l’unica recita del 22 febbraio 2020. Purtroppo, a causa dell’attuale emergenza Coronavirus e a seguito del Decreto-legge del 23 febbraio 2020 che ha sancito la sospensione di manifestazioni, eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, con la conseguente chiusura di musei, cinema e teatri, lo spettacolo non è più potuto andare in scena. La tournée prosegue a Londra (Barbican Centre, dal 4 al 7 marzo) e a Sceaux, Francia (Les Gémeaux, Scène Nationale dal 18 marzo al 2 aprile 2020).

*le repliche francesi sono attualmente sospese

Piccolo Teatro Strehler

dal 22 al 28 febbraio 2020

La tragedia del vendicatore

di Thomas Middleton

adattamento di Declan Donnellan e Nick Ormerod

regia Declan Donnellan

versione italiana Stefano Massini

scene e costumi Nick Ormerod

luci Judith Greenwood, Claudio De Pace

musiche originali Gianluca Misiti

regista assistente Francesco Bianchi

collaboratore movimenti di scena Alessio Romano

con (in ordine alfabetico): Ivan Alovisio, Marco Brinzi, Fausto Cabra, Flavio Capuzzo Dolcetta, Christian Di Filippo, Raffaele Esposito, Ruggero Franceschini, Pia Lanciotti, Errico Liguori, Marta Malvestiti, David Meden, Massimiliano Speziani, Beatrice Vecchione, Marouane Zotti

coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa / Emilia Romagna Teatro Fondazione

[1] A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 2000, pp. 198-199.