La sfida erotica di ‘Carmen’ al Teatro Massimo Bellini di Catania
@ Loredana Pitino (27-02-2020)
Catania – Si è inaugurata la stagione del Teatro Massimo Bellini; una stagione che sembrava a rischio ma che, grazie a un intervento straordinario, al nuovo Sovrintendente, Giovanni Cultrera di Montesano, al Commissario Straordinario Daniela Lo Cascio, al ricco programma impaginato dall’uscente direttore artistico M.tro Francesco Nicolosi che lascia il posto al M.tro Fabrizio Carminati, è partita con la Carmen di Bizet.
Carmen è l’opera lirica in quattro atti di Georges Bizet su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy ispirato alla novella omonima di Prosper Mérimée.
La prima rappresentazione, all'”Opéra Comique” di Parigi il 3 Marzo 1875, decretò un insuccesso totale. Il pubblico francese non era abituato e non apprezzò la situazione scenica e musicale che si trovò davanti. Il connubio fra esotismo delle ambientazioni (la Spagna viene ritratta come una terra lontana e ancestrale, diversissima dalla raffinata Francia), e musicalità nuova, più diretta e semplice, se vogliamo, più ripetitiva nel tema e con schemi strumentali fissi, non piacque. Il gusto francese era abituato ai temi ampi e ariosi di Berlioz, per esempio. Quell’evocazione di paesaggio e costumi estranei ai loro – messi a fuoco con ingenuità (Bizet non era mai andato in Spagna, era per lui una “inutile fatica”, ma si affidò alle conoscenze superficiali) e fatti propri -, quella figura femminile, forte, seducente, carnale e autodeterminata, non trovarono l’approvazione dei parigini. Approvazione che giunse in ritardo, divenne apoteosi internazionale, al punto che il filosofo tedesco Frederich Nietzsche si innamorò della sua musica “malvagia e raffinata, fatalistica….”
La zingara sigaraia Carmen, o Carmencita, come la chiamano i suoi pretendenti, è protagonista di un dramma che comincia come un gioco d’amore e finisce per acquisire i caratteri specifici del conflitto fra Eros e Thanatos.
Carmen è bella, seducente, libera, ama sedurre e lasciare gli uomini che si innamorano di lei. Irrompe sulla scena con un canto di seduzione accompagnato dalla danza, la famosissima habanera L’amour est un oiseau rebelle, con il quale tesse il suo gioco d’amore, la ragnatela di fascino e sensualità che catturerà il brigadiere Don José, sua vittima prima e poi suo carnefice.
L’habanera è una danza popolare, dall’origine cubana, dal ritmo lento e non rigido. Usata nella musica d’arte a partire dall’Ottocento, all’esordio di Carmen fu riconosciuta nelle prime recensioni come un’aria francese perché, in quel tempo, circolavano molte antologie musicali che riproducevano melodie esotiche che erano diventate familiari.
Nel canto di Carmen il tema musicale si coniuga al tema dell’amore libero, come un uccello che canta e che provoca: L’amour est enfant de bohème,/il n’a jamais connu de loi,/ Si tu ne m’aimes pas, je t’aime;/ si je t’aime, prends garde à toi! Non è amore, è un ludus, è una sfida, una prova, un divertimento che parla d’amore e poi minaccia: se tu non mi ami io ti amerò, ma se io ti amo, attento.
Anche alle domande del gendarme che indaga sulla lite fra le sigaraie Carmen risponde col suo canto beffardo, senza parole, solo con un “tra la lalala” che si riempie, però, di sottinteso e malizia. Sul pentagramma di Bizet l’esotismo diventa erotico.
Che il gioco della seduzione finirà in un vortice di gelosia e morte Bizet ce lo anticipa già dal preludio. Il tema della morte di Carmen, il tema funebre, composto da quattro note, che nel corso di tutta l’opera (tornerà quando le zingare leggono le carte nel terzo atto), variate e concertate nel preludio del quarto atto, sottolineano il destino inesorabile della donna.
I personaggi maschili, Don José e il torero Escamillo, sono le pedine del suo gioco d’amore, loro sì, innamorati davvero, al punto da sfidarsi, al punto di rinunciare a tutto per lei, al punto di sacrificare ogni sicurezza, ogni promessa d’amore rassicurante, ogni dovere di figlio. Don José, soggiogato, irretito dalla forza della seduzione di Carmen ne è prigioniero, schiavo, geloso e smanioso di possesso, un possesso al quale non può rinunciare a nessun costo, e, accecato da questa gelosia, armerà la sua mano e ucciderà quella donna che, libera fino alla fine, preferirà la morte a ogni legame.
A Carmen si contrappone Micaela, la promessa sposa di don José, fanciulla docile, davvero innamorata e devota, caratterizzata da una bellezza cortese. Il personaggio positivo, affidabile e moralmente forte, ma perdente, carico di spiritualità, che prega con devozione e fede sicura là dove il suo amore l’ha portata per salvare Don José dalla perdizione, dalla diserzione, dal brigantaggio al quale Carmen l’ha costretto.
In questa edizione catanese per il ruolo di Carmen è stato scelto il mezzosoprano russo Anastasia Boldyreva, voce calda, profonda, dalle tonalità scure anche se ancora non del tutto mature; prorompente e avvenente nella sua bellezza, non proprio mediterranea però, scalza e vestita di bianco Carmen entra in scena con sguardo fiero ma poco convincente per questo ruolo.
Dà la voce a Don José il tenore Gaston Rivero, con una esecuzione musicalmente in linea con il personaggio e molto in equilibrio nei duetti, in specie in quello con Micaela del primo atto, ma scenicamente impacciato e statuario nel rapporto con Carmen.
Convincente l’esecuzione di Devid Cecconi nei panni del torero Escamillo.
Sublime la voce e l’interpretazione nei panni di Micaela, del soprano Daniela Schillaci, applauditissima dal pubblico, che ha dato all’opera un tocco di eleganza, note limpide e carezzevoli al personaggio della fanciulla innamorata e pura.
L’orchestra del teatro Massimo Bellini, come da anni ormai, si dimostra sempre all’altezza, sotto la direzione del M.tro Carminati (che ha regalato al teatro catanese esecuzioni egregie, si pensi ad Adelson e Salvini). Il preludio del primo atto lasciava percepire un tocco, forse, pesante, ma nel preludio dell’atto terzo, con i flauti che descrivono il paesaggio che piano si svela, ai quali, in un crescendo lentissimo si affiancano i violini che ampliano la melodia che si fa piena, soave e distesa, per tornare a finire sul flauto esile e notturno, in quel momento ha reso onore alla musica di Bizet, come pure nel preludio dell’ultimo atto tutto centrato sul tema di morte.
Purtroppo didascalica la regia affidata a Luca Verdone, già noto al pubblico catanese per gli allestimenti di Le nozze di Figaro e Un ballo in maschera, che ha voluto sottolineare l’affinità della vicenda di Carmen con quella della Lupa di Verga, ma, in realtà, ha mescolato ambienti e situazioni siciliane con quelle di Siviglia, con accostamenti non del tutto comprensibili sul piano dei costumi (di Alberto Spiazzi) – ci sembra di essere nella Vizzini di Cavalleria Rusticana in alcuni momenti, i contrabbandieri sembrano più pirati nella cambusa, per esempio – della scenografia quasi grossolana, dai disegni marcati, con eccessivo ricorso alla cartapesta, e la presenza di personaggi da Commedia dell’arte napoletana. Nessuna emozione nel momento finale, nessun pathos trasmesso in un gesto vanificato della sua tragicità.