Il solo luogo in cui a ognuno era concesso essere unicamente se stesso. ‘E’ da lì che viene la luce’ di Emanuela Abbadessa, ed. Piemme
@ Loredana Pitino (13-03-2020)
Emanuela Abbadessa, è una scrittrice e saggista, nata a Catania, giornalista per i quotidiani La Repubblica e Il Secolo XIX. Ha già pubblicato Capo scirocco e Fiammetta, e ora torna a far parlare di sè con E’ da lì che viene la luce, apparentemente un trattato sulla bellezza della vita, ma che poi si rivela essere centrato sul tema della fotografia, ed il protagonista, un barone tidisco che nutre di questa passione da sempre, e che troverà le sue fortune, ma anche gli eventi più sfortunati, proprio grazie a questa, elevata nel racconto allo stesso rango di tutte le altre arti.
Quando Emanuela Abbadessa scrive, “l’ispirazione (…) è prima di tutto fotografica, mi viene cioè da un’immagine statica intorno alla quale mi piace ipotizzare una storia, ovvero un prima e un dopo lo scatto”, quanto da lei stessa affermato nelle Note dell’autrice in conclusione del romanzo. A proposito della fotografia la scrittrice catanese afferma, ancora una volta, dopo altri saggisti, come Walter Benjamin o Susan Sontag, che la fotografia è l’unica arte dove non vi è alcun elemento di finzione, ma si può considerare un mestiere che riproduce esclusivamente l’elemento reale, in cui i soggetti, finalmente, “per tutti avrebbero potuto mostrare con orgoglio il loro vero essere, senza paura del giudizio”.
Il romanzo è ambientato nel 1933, un anno prima dell’autodesignazione a Führer di Adolf Hitler, epoca difficile per l’Europa e l’Italia intera, dove nel frattempo il potere, tramite elezioni, era stato assunto da Benito Mussolini, ed in cui, nel paesino di Taormina, si discute molto intorno all’operato del Duce. L’ambientazione prettamente siciliana, permette alla scrittrice di regalare al lettore squarci descrittivi, con uno stile “fotografico”, che spaziano dai paesaggi alle strade, dai vestiti delle donne al loro linguaggio per arrivare persino ai cibi (succulente descrizioni di cannoli e altre prelibatezze siciliane) ed ai piatti in cui questi venivano serviti nelle più belle e ricche case nobiliari. In queste pagine sembra, quasi, che Emanuela Abbadessa accompagni il lettore in lente passeggiate verso il paesino di Taormina, e non solo. Il lettore che si trova immerso in questo romanzo, infatti, compie un viaggio verso la città di Catania, attraverso le strade più rappresentative quali, ad esempio, quella di Castelmola, o Ragusa klein Ibla, assistendo nel frattempo – e meravigliandosi per l’effetto scenico – alle sfilate in camicia nera degli adepti del partito fascista. La collocazione storica consente all’autrice di svolgere un’attenta riflessione sul pensiero e sulla mentalità dei siciliani in quegli anni, contrapposta abilmente con quella del protagonista tedesco, profondamente innamorato della Sicilia e costretto a rimanerci per via della guerra.
Un tema doloroso che trova spazio all’interno della vicenda, è quello dell’omosessualità, vista come una “malattia che colpisce solo i maschi” e bandita dal codice Rocco. La scrittrice ci fa intuire come questo orientamento – che nel romanzo appare solo come una fase, in quanto i due protagonisti principali sono entrambi innamorati tra loro – sia riservato solo agli aristocratici, poichè alle famiglie che abitavano in paese e da cui provenivano i due modelli che il barone Ludwig Von Trier si dilettava a ritrarre, erano affidate solo chiacchiere e pettegolezzi misti a profonda ignoranza. Il protagonista vive lontano dal paese, un po’ per crearsi un rifugio, un po’ per non farsi coinvolgere da quelle chiacchiere che spaventavano lui e la governante, Elena Amato, donna dal carattere forte, tramite la quale si evince un’ultima riflessione, sul valore e sul coraggio delle donne, destinate a sopportare tutto, persino il dolore del parto, “per salvare i figli”.
È da lì che viene la luce è un romanzo – lontanamente ispirato alla storia del fotografo tedesco Wilhelm von Gloden – sulla libertà, di e sul pensiero, pieno di riflessioni e spunti su ogni tema (l’amicizia e l’amore ricorrono sempre, così come l’affetto genitoriale), scolpite magistralmente sullo sfondo dell’arte della fotografia, definita come “una scatola tramite cui si diffonde un rumore metallico”.