Luci al neon sulla tragedia di Lear, alla Pergola di Firenze
@ Mattia Aloi (30-01-2020)
Firenze – Le opere di Shakespeare affrontano temi universali, per cui sono in grado di coinvolgere spettatori di ogni epoca. Perché ciò accada però è necessario svestirle della sovrastruttura mitica e arrivare al cuore del testo, farlo battere con nuova linfa e lasciarlo fluire in modo che risulti immediatamente comprensibile per il pubblico contemporaneo.
Il “Re Lear” che nasce dall’adattamento di Glauco Mauri e Andrea Baracco (che firma anche la regia), riesce perfettamente in questo intento, offrendoci uno spettacolo chiaro, immediato e coinvolgente.
Una gigantesca scritta pubblicitaria di ferro con lucine luminose campeggia sulla scena spoglia, sormontando una gabbia dello stesso materiale nella quale i personaggi si rifugiano o si nascondono coperti dal vedo-non vedo della maglia metallica.
La scena così vuota, insieme a un testo epurato di tutti i cambi di scena del copione originario, ci consente di ammirare questo “Re Lear” in una duplice maniera: quella che ricostruiamo assieme agli attori – più epica e tragica – e quella drammatica che ci tocca più da vicino.
La vicenda di un re che divide il suo regno fra due delle sue figlie per un eccesso di vanità e maledice la terza condannandola all’esilio, diviene qui la storia semplice di un anziano che sta perdendo la ragione e la potestà sulle figlie (che se lo scaricano a vicenda), mentre la terza cerca di recuperare il rapporto perduto con lui. Glauco Mauri interpreta un Lear fragile, patetico e in preda alla senilità, smarrito per non potere più esercitare alcun tipo di controllo nei confronti delle figlie.
Goneril e Regan soffrono la custodia del vecchio genitore come farebbero due donne qualunque con il fardello rappresentato da un padre “scomodo”. Invece Cornelia cerca di riabilitare il nome e il prestigio del genitore che l’ha ripudiata: sebbene mossa dall’amore per il padre, vuole restituirgli prestigio e potere combattendo inutilmente contro il tempo stesso, che non ammette passi indietro e che la porta così alla rovina. Intanto il conte di Gloucester (interpretato da Roberto Sturno) è alle prese con il complesso edipico del figlio Edmund, il quale si sente castrato poichè illegittimo e decide di rivalersi ottenendo tutto il potere possibile, arrivando addirittura a mettere in fuga il fratellastro Edgar e a privare del potere persino il padre. Gloucester, viene accecato e quindi anche lui, come Lear, è privato della forza e abbisogna dell’aiuto del figlio Edgar, il quale si finge folle e come tale è uno dei personaggi più savi, come accade nelle opere del Bardo.
Da notare che il soliloquio di Gloucester che corteggia il suicidio evoca quello del terzo atto dell’Amleto. Nella conclusione vediamo le sorelle irretite da Edmund, dal potere che rappresenta come usurpatore; Edgar che ha fatto da bastone della vecchiaia al padre e che ha vissuto nella tempesta, faccia a faccia con la follia, affronta il fratello e ne rovescia il potere, finendo però per venirne intrappolato a sua volta: è una gigantesca corona di ferro a calare pesantemente e a catturarlo in una eterna prigione luccicante. A coronare lo spettacolo risuona la “Passacaglia della vita” che ricorda a tutti, re e folli, che alla fine “bisogna morire”.
Glauco Mauri
Roberto Sturno
RE LEAR
di William Shakespeare
traduzione Letizia Russo
riduzione e adattamento Andrea Baracco e Glauco Mauri
e con (in ordine alfabetico) Dario Cantarelli, Enzo Curcurù, Linda Gennari, Paolo Lorimer, Francesco Martucci, Laurence Mazzoni, Francesco Sferrazza Papa, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti, Aleph Viola
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
musiche Giacomo Vezzani, Riccardo Vanja
luci Umile Vainieri
video Luca Brinchi, Daniele Spanò
regia Andrea Baracco
produzione Compagnia Mauri Sturno, Fondazione Teatro della Toscana
è parte del progetto Il Teatro? #BellaStoria! – Stagione 4
foto di scena Filippo Manzini
durata 2 ore e 50 minuti, intervallo compreso