Un’improbabile ascensione. ‘Tosca’ apre la stagione lirica del Teatro alla Scala con una discutibile regia di David Livermore
@ Loredana Pitino (07-12-2019)
Sette Dicembre, Sant’Ambrogio, Milano è in festa. A Milano si celebra un rito antico, si inaugura la Stagione lirica del Teatro alla Scala. Quest’anno il rito è profondamente sacro, popolare, di quelli che fanno proseliti solo dal titolo, Tosca di Giacomo Puccini.
Una fra le opere più conosciute al mondo, una che fa cantare le sue arie, le sue romanze, che evoca sentimenti e ricordi condivisi, una scelta che mette d’accordo tutti. Il sovrintendente Alexander Pereira ha voluto fortemente quest’opera per accomiatarsi dall’Ente milanese che ha guidato per diversi anni.
Il dramma storico che inneggia alla libertà e sublima l’amore e il sacrificio, che Puccini musicò dal dramma in cinque atti di Victorien Sardou “La Tosca“, su libretto di Illica e Giacosa, venne rappresentato per la prima volta il 14 gennaio 1900 a Roma, perché a Roma è ambientato.
Il Direttore d’orchestra Riccardo Chailly ha scelto la partitura della prima assoluta, documentata nell’edizione critica a cura di Roger Parker per Ricordi, che presenta alcune significative differenze rispetto all’edizione sempre rappresentata.
La vicenda prende spunto dagli avvenimenti rivoluzionari della Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: sabato 14 giugno 1800, giorno della Battaglia di Marengo. Un rivoluzionario, bonapartista “volteriano”, Cesare Angelotti, è fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant’Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile. Qui incontrerà il pittore Mario Cavaradossi che conosce da tempo e con cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l’arrivo di Floria Tosca, l’amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella.
Floria Tosca è un’artista, una cantante bella, innamorata e devota. Il suo amore la acceca di gelosia e di questo ne approfitta il Barone Scarpia, il capo della Polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch’egli bonapartista. Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, facendo leva sulla morbosa gelosia di lei.
Le tende una trappola per scovare il nascondiglio di Angelotti e Floria cade in pieno nel sospetto viscido della gelosia.
Il barone Scarpia è l’esemplare di uomo di potere che sfrutta la sua posizione per ricattare, piegare, soggiogare. Concupisce Floria per la sua lussuria, la brama, brucia per lei di desiderio e passione e baratta con lei la liberazione e la salvezza di Mario. Anche questa è una trappola ma Floria cede, lo illude di concedersi in cambio del lasciapassare per lei e il suo amante. Lo illude perché Floria non può dare il suo corpo, la sua passione a chi la usa come oggetto di piacere e di possesso. Floria sceglie la libertà a tutti i costi e uccide Scarpia, pugnalandolo al cuore nel momento in cui lui si aspetta l’amplesso. Ma il suo gesto non è solo riscatto di una donna, “davanti a lui tremava tutta Roma”, il recitativo col quale l’eroina con le mani insanguinate commenta il suo gesto. Poco prima era giunta la notizia della vittoria di Napoleone sugli austriaci a Marengo.
Ma Scarpia aveva già ordito il suo ultimo crimine, una vendetta inconsapevole; Mario verrà fucilato, davvero, contraddicendo la promessa che aveva fatto a Floria. Floria disperata non potrà fare che un’ultima scelta: morire gettandosi dal cortile di Castel Sant’Angelo dove Mario è stato giustiziato.
In Tosca il delicato Puccini, il musicista del sublime, dei sentimenti delicati e delle sfumature più profonde dell’animo umano, si confronta con la Storia; i sentimenti dei protagonisti sono forti passioni, tormenti estremi dalle conseguenze estreme; la sua musica si fa potente, sembra accennare alla intensa musicalità di certi quartetti verdiani, si concede duetti ritmati e intensi, passaggi epici e solenni come il Te Deum del finale del primo atto.
Nell’edizione della Scala le voci sono state affidate al soprano Anna Netrebko, al tenore Francesco Meli e al baritono Luca Salsi, tutte voci assolutamente all’altezza dei ruoli e dalla presenza scenica perfettamente in linea con i personaggi e il loro spessore, particolarmente calda e appassionata quella del tenore, limpida nelle due diverse romanze, Recondite armonie e Lucean le stelle; cristallina ma capace di timbri profondi quella del soprano, davvero toccante nella romanza Vissi d’arte.
Sobria, attenta, filologicamente competente la direzione del Maestro già più volte sul podio alla Scala, Riccardo Chailly.
Non così possiamo dire della regia di David Livermore, alla sua seconda prova alla Scala (l’anno scorso aveva curato, sapientemente e intelligentemente l’Attila di Verdi, opera d’apertura della stagione).
Malgrado abbia dichiarato di aver voluto rispettare la partitura di Puccini con grande attenzione, non serve una competenza da specialista per riconoscere, invece, una serie nutrita di errori macroscopici davvero imperdonabili.
La regia di un’opera di Puccini è davvero semplice, è come camminare su una strada segnata. Ogni nota della partitura disegna le voci e le melodie dell’orchestra ma anche le didascalie che dettano i movimenti, le luci, i passaggi, le andature dei personaggi, ogni gestualità, ogni dettaglio. Non c’è niente di casuale, non c’è niente di trascurato.
Floria Tosca entra in scena recando in braccio un vistoso mazzo di fiori da offrire alla Madonna, “lascia che infiori”; non può entrare a mani nude e poi togliere i fiori da un’altra cappella per porgerli nella preghiera.
Mario viene tradotto nello studio di Scarpia in manette e trascinato con un andamento lento e disperato, scandito dal motivo musicale triste e inesorabile; non può agitarsi e farsi inseguire dagli sbirri di Scarpia.
E poi: la scena dell’uccisione di Scarpia è letteralmente dettata dalle note di Puccini, tutto sottolineato dal timbro e dalle battute dello spartito. Una nota scura, tragica per il primo candelabro che Floria pone accanto al cadavere, la stessa nota per l’altro candelabro, poi un colpo netto, definitivo per il crocifisso che la cantante getta sul cuore della sua vittima. Tutto lì, già scritto. Non si può trattare di un sogno, di un’illusione, di un pensiero al quale non credere, di un incubo. E’ la realtà di un gesto estremo, eroico, rivoluzionario. Floria Tosca muore col suo Mario. Muore per scelta, muore stoicamente per non cedere alla legge del potere e della violenza, da vera eroina. Muore. Non vola in una improbabile ascensione.
Le superbe scenografie tecnicamente ed esteticamente perfette non possono bastare per fare di questa messa in scena un capolavoro. Fuori luogo anche quasi tutti i costumi, a metà tra ricordi staliniani e fascisti di via Tasso.
Livermore, che già a Siracusa, quest’estate, con la regia dell’Elena di Euripide, ha voluto dare prova della sua grande capacità di stupire con effetti speciali, a scapito del testo e anche di ogni credibilità, riscuote successo per la visione grandiosa delle sue regie. Sarebbe auspicabile sostenere le sue trovate geniali con contenuti seri, soprattutto nel rispetto di Puccini.
TOSCA di Giacomo Puccini
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore | Riccardo Chailly |
Regia | Davide Livermore |
Scene | Giò Forma |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Luci | Antonio Castro |
Anna Netrebko Floria Tosca
Francesco Meli Mario Cavaradossi
Luca Salsi il barone Scarpia
Carlo Cigni Cesare Angelotti
Alfonso Antoniozzi il Sagrestano
Carlo Bosi Spoletta
Giulio Mastrototaro Sciarrone
Ernesto Panariello il Carceriere