Lo strumento scordato, un sequel del ‘Berretto a sonagli’ al Canovaccio di Catania
@ Loredana Pitino (07-12-2019)
Catania – Siamo abituati a vedere sequel e rifacimenti di film al cinema, anche prequel. Non è mai capitato di vedere un sequel a teatro.
Al teatro del Canovaccio di Catania, abbiamo assistito ad un’operazione di questo tipo grazie alla scrittura di Antonella Sturiale e alla regia di Saro Pizzuto.
La vicenda dalla quale è partita la Sturiale è quella di uno dei capolavori di Luigi Pirandello, uno dei testi teatrali più squisitamente “pirandelliani” dell’Agrigentino, Il Berretto a sonagli. Nel dramma che fu scritto per la prima volta in dialetto siciliano (A birrittacchiciancaneddi), l’Autore, premio Nobel, ha sintetizzato tutta la sua riflessione esistenziale nei temi a lui più cari: realtà e finzione, vita e forma, teatro e vita, follia.
Partendo da un contesto borghese cristallizzato in ruoli definiti, Pirandello ha messo in scena una trama ricorrente del teatro tardo ottocentesco e lo ha capovolto: il matrimonio, la famiglia, il tradimento, l’adulterio, la gelosia, il rispetto mancato.
Attraverso “il sentimento del contrario” Pirandello ha scardinato un cliché sociale e letterario e lo ha usato per dimostrare come la vita sia intrappolata in meccanismi sociali che fanno dell’uomo moderno una maschera, un pupo (pupi siamo, pupo io, pupa lei….).
Lo scrivano Ciampa porta in scena il suo dramma e la sua filosofia; lo scrivano Ciampa nasconde le elucubrazioni filosofiche del “figlio del Kaos” (così Pirandello amava definirsi) e se ne fa interprete. Due monologhi di Ciampa esprimono tutta la filosofia dell’Autore variamente disseminata nelle altre opere, teatrali e narrative.
Ciampa trova la soluzione al suo dramma nel paradosso, capovolgendo le sorti segnate di tutti i protagonisti di questa vicenda attraverso la via d’uscita che Pirandello aveva sperimentato sulla sua pelle, dolorosamente, ma anche gnoseologicamente: la follia.
E lì, dove l’Autore aveva lasciato “aperta” la conclusione della sua pièce, su quell’urlo che fa passare per pazza la Signora Beatrice e che libera dal peso delle “corna” Ciampa, si è innestata la fantasia di Antonella Sturiale.
Cosa è successo dieci anni dopo ai personaggi del Berretto a sonagli?
Nel testo de Le tre corde è stata ricostruita la vita di Beatrice in manicomio, di Nina nella sua vita matrimoniale con Ciampa, del fratello Don Fifì, del Segretario Spanò, della cameriera, della Saracena e, naturalmente, di Ciampa.
Si ritrovano tutti sul palco a raccontare questi dieci anni, a confessare a se stessi e al pubblico il loro pentimento e i loro rimpianti, sotto l’occhio osservatore del “buon buffone”, Ciampa che si cela (non tanto, in realtà) dietro uno sgangherato costume da saltimbanco.
La scena avviene in uno spazio indefinito, o meglio, definito soltanto dalla struggente musica originale di Alessandro Cavalieri che evoca, in un suono da carillon, l’atmosfera di un baraccone da circo, nostalgico e retrò. A commentare ogni dialogo, ogni confessione dei personaggi un mimo muto, una maschera mimetica, una marionetta da Commedia dell’arte che suggella, nel suo silenzio, la narrazione col suo linguaggio non verbale. In questo ruolo delicatissimo, davvero brava Agata Ranieri.
I Pupi, nell’ipotesi della Sturiale, sono andati oltre la follia, hanno recuperato la loro autonomia; sono usciti dal ruolo, hanno staccato la corda che li fa muovere, si sono parlati, si sono perdonati, si riconciliano. Insomma, hanno indossato la loro “maschera nuda”. Operazione che Pirandello non aveva consentito, non in questo dramma.
Alla fine, sulla scena, rimane il mimo ad allacciare le corde, le Tre corde, e a raccontarci un’altra storia possibile.
Il tono, il linguaggio di questa operazione è decisamente, nettamente, pirandelliano (troppi riferimenti-rifacimenti), pieno di citazioni il testo, a metà tra il flashback e il calco. Di conseguenza gli attori, molto bravi, di maturato mestiere, seguono una recitazione forzatamente pirandelliana e marcatamente fuori tempo, oggi.
L’effetto finale, pur rivelando un intento interessante e originale, è quello di farci percepire uno “strumento scordato”.
LE TRE CORDE
Di Antonella Sturiale
Teatro del Canovaccio di Catania
Regia: Saro Pizzuto
Con: Fiorenza Barbagallo, Maria Grazia Cavallaro, Iolanda Fichera, Domenica Fiore, Luciano Leotta, Pippo Marchese, Saro Pizzuto, Agata Ranieri
Musiche originali: Alessandro Cavalieri
Scene: Gabriele Pizzuto
Pantomime di Agata Ranieri
Produzione Teatro del Canovaccio