“Qualcuno deve raccontare questa storia”
Il J’accuse di Roman Polanski
@ Loredana Pitino (02-12-2019)
Un film intellettuale L’ufficiale e la spia di Roman Polanski, che ha vinto il Gran Premio della giuria alla 76. Mostra del Cinema di Venezia.
La vicenda, molto nota, risale al 1895, quando il capitano ebreo Alfred Dreyfus, in Francia, fu accusato di alto tradimento per avere fatto opera di spionaggio a favore della Germania (siamo negli anni degli scontri Franco-Prussiani). Nel 1898 lo scrittore Émile Zola raccontò sul giornale socialista L’Aurore tutta la vicenda, con lo scopo di denunciare – J’accuse il titolo dell’editoriale – pubblicamente i persecutori di Alfred Dreyfus, le irregolarità e le illegalità commesse nel corso del processo che lo vide condannato per alto tradimento, e di ottenere la revisione del processo. Le prove a favore dell’innocenza di Dreyfus erano tali che la revisione appariva come un necessario atto di riparazione e di giustizia.
Polanski si è ispirato dall’omonimo romanzo del 2013 di Robert Harris, che ne ha scritto anche la sceneggiatura, e ha voluto recuperare la stessa urgenza di verità che aveva spinto Zola, maestro del Realismo francese, a raccontare e denunciare un evento scandaloso che, allora, aveva portato la Francia quasi sull’orlo di una guerra civile.
Quell’evento, quello scandalo, viene riletto dal regista alla luce di alcune dinamiche oggi più che mai attuali. Dreyfus fu condannato perché era ebreo, fu considerato un traditore della patria e detestato dal popolo francese in quanto nemico della Nazione, il pregiudizio valse alla sua condanna prima e molto di più del giudizio. L’idea che potessero essere messi sotto accusa gli alti comandi dell’esercito, i rappresentanti più alti della Francia, in nome della giustizia, in nome dei diritti, per difendere un ebreo, aveva suscitato un’ondata di indignazione nella destra militare razzista. Allora, la caccia era all’ebreo nemico della nazione, straniero, diverso. Oggi il film parla di noi a noi perché la sceneggiatura sottolinea in molti passaggi questo aspetto razzista dell’affaire e il forte coinvolgimento del popolo, la facile condanna, il linciaggio pubblico e l’indignazione della massa contro un individuo che ha cessato di essere persona e rimane solo uno “sporco ebreo”. Alcune scene focali del film si concentrano sulla reazione della folla, sui roghi pubblici in piazza del giornale e di tutti gli scritti di Zola, amara premonizione di ciò che sarebbe accaduto di lì a pochi anni, sulle urla che ripetono slogan persecutori, sulla ferocia infondata del popolo quando viene spaventato a regola d’arte e manipolato.
Il vero protagonista del film è il capitano Georges Picquart – che era stato un superiore di Dreyfus e che si trova di fronte alla sua coscienza quando scopre le prove dell’innocenza dell’ex allievo -, interpretato da Jean Dujardin. E’ lui a portare avanti un’inchiesta che svela, passo dopo passo, prova dopo prova, la verità che coinvolge tante, troppe personalità, ufficiali, membri del Governo (la Francia della Terza Repubblica). Ciò che lo spinge (lui pure antisemita) è un altissimo senso dell’onore e della giustizia, una precisa consapevolezza del proprio ruolo e della propria responsabilità, così ineludibili da fargli accettare il rischio personale di essere processato e condannato, giudicato per avere osato svelare complotti e menzogne orchestrate ai danni di Dreyfus.
La svolta decisiva e risolutiva avverrà grazie al coinvolgimento, alla compromissione di un scrittore, di un intellettuale, voce autorevole nella Francia di secondo Ottocento, Émile Zola che verrà anch’egli, in prima istanza, condannato per diffamazione.
L’intellettuale, che si mette in gioco, che rischia per indicare una via morale, per fotografare la realtà, per denunciare i responsabili di un atto di ingiustizia umana, tutto questo fu lo scrittore durante il torbido affaire. Oggi, in epoca di falsificazione della verità, la storia raccontata dal film ha il sapore di una grande metafora piuttosto semplice da decodificare per comprendere fino a che punto possano arrivare il nazionalismo esasperato, il fondamentalismo religioso, la manipolazione delle masse.
Ciò che rende questo film un capolavoro intellettuale è la sapienza della ricostruzione storica, l’attenzione agli ambienti d’epoca (perizia della quale Polanski ha dato meravigliosi saggi in Oliver Twist e Il Pianista, solo per citarne due) e nella fotografia di Pavel Edelman che gioca con le citazioni di pittori e quadri famosi (si riconosce La colazione sull’erba di Manet, e Toulouse Lautrec) e con simmetrie di luci e colori, come nella scena iniziale tutta giocata su contrasti di rosso e nero o come nella scena del duello che, come in un quadro di David, mette le figure in rilievo nel chiaroscuro tra bianco (il colore delle camicie) e nero.
Una presenza femminile molto cara a Polanski, Emmanuelle Seigner, che interpreta l’amante del capitano – anch’essa vittima del complotto di governo, anch’essa pedina di un gioco di potere troppo grande – regala un momento di grazia e bellezza a un film prevalentemente maschile. Ci piace segnalare il piccolo cameo di un attore italiano che nei film storici si trova sempre nel ruolo giusto, Luca Barbareschi.
L’ufficiale e la spia
Titolo originale: | J’accuse |
Nazione: | Francia, Italia |
Anno: | 2019 |
Genere: | Drammatico, Thriller |
Durata: | 126′ |
Regia: | Roman Polanski |
Cast: | Jean Dujardin, Louis Garrel, Emmanuelle Seigner, Grégory Gadebois |
Produzione: | Canal+, Eliseo Cinema, Rai Cinema |
Distribuzione: | 01 Distribution |
Data di uscita: | Venezia 2019 – In concorso – Gran Premio della Giuria 21 Novembre 2019 (cinema) |