Un drammatico ‘fuori orario’. “Ben is back” di Peter Hedges, con Julia Roberts e Lucas Hedges

Un drammatico ‘fuori orario’. “Ben is back” di Peter Hedges, con Julia Roberts e Lucas Hedges

di Lucia Tempestini 26-12-2018

Non  sappiamo il nome della località, né quello dello Stato in cui si svolge, nell’arco di un giorno e di una notte, la storia di Ben e della sua famiglia. Non ha importanza, si tratta di una delle mille cittadine della provincia americana con le case di legno dai tetti spioventi, fissata dal nitore ghiacciato di una fotografia che delinea gli elementi invernali per estrarne la profonda malinconia, l’assenza di luce, l’indifferenza, la spietatezza: i cristalli di neve vorticano nell’aria fino ad accecare, la brina uccide l’erba intorno alle tombe e si deposita a chiazze in tutto il cimitero dove Holly Burns presa da una disperazione fredda, lucidissima, porta il figlio Ben perché possa scegliere dove essere sepolto dopo una morte per overdose che si annuncia prossima.

Tutto nasce sempre da un senso di inadeguatezza che cerca sollievo, in un modo qualsiasi. Può derivare dalla mancanza di un padre, fuggito chissà dove lasciando moglie e figli piccoli, dalla povertà, dal non riuscire a sentire se stessi, o meglio dal sentirsi incompleti, informi, diversi dai membri della piccola comunità chiusa di cui (non) si fa parte, vulnerabili davanti agli sguardi di sufficienza di chi ha solo avuto un po’ più di fortuna. Si chiama male di vivere, e non è detto che si riesca a reagire.

Ben e altri ragazzi come lui, Spencer per esempio, o Maggie, morta per overdose, cercano una protezione dalla realtà nell’eroina, un isolamento privo di pensieri e di infelicità, un meraviglioso benessere mentale e fisico. Una leggerezza che col tempo diventa schiavitù e assenza di speranza, pensiero fisso, ossessivo, dipendenza che si sostituisce alla vita, ingoiandone ogni secondo. Sofferenza organica che si autoalimenta con l’illusione o semplicemente la necessità di trovare qualche ora di quiete. Non so più cosa significhi farsi, dice Spencer a Holly, desidero solo smettere di soffrire.

All’inizio diventano untori lisergici, diffusori entusiasti del morbo, perché è normale voler condividere un Eden appena scoperto che sembra la soluzione di ogni problema esistenziale. Poi, per alcuni, come Ben, arrivano i sensi di colpa nei confronti di famiglia e amici, la percezione angosciata di una vita ormai alla deriva, buia, senza sbocchi. Si tenta con la comunità di recupero, il più lontano possibile dal luogo di origine, con la terapia di gruppo, parlando ininterrottamente della propria dipendenza e dei propri errori affinché le parole prendano sostanza e formino barriere difensive contro il desiderio, costante, pungente, di tornare alla droga, di spegnersi in una pace di morte.

Ben lascia per un giorno la comunità terapeutica per trascorrere il Natale con la madre, la sorella Ivy, il patrigno e i due fratellastri ancora bambini. Senza dare ascolto al parere dello psicologo e senza avvertire i familiari. Viene accolto dalla madre con un’emozione bilanciata dalla risolutezza e, a tratti, dall’ironia, mentre la reazione della sorella e del patrigno è di ostilità e timore. Inizia una lunga, difficile giornata di confronti, scontri, reticenze, recriminazioni, in cui è il rapporto di Ben con Holly a diventare protagonista del film. E se Julia Roberts sorprende con una prova coinvolgente e sincera, in perfetto equilibrio fra asciuttezza e vibrazione interiore, il giovane Lucas Hedges, dallo sguardo adulto e dolente, si conferma il miglior talento della nuova generazione (da Manchester by the sea a Three billboards outside Ebbing, Missouri) rappresentando il senso morale frustrato che spinge Ben nello stesso tempo verso il riscatto e verso una fine che ai suoi occhi assume l’aspetto di un’espiazione.

Gli eventi precipitano verso sera, quando la famiglia, di ritorno dalla funzione natalizia, scopre che il cane Ponce è stato rapito. Madre e figlio in quel preciso momento trovano o ritrovano una sorta di simbiosi e prende l’avvio una ricerca in cui il cane rappresenta soprattutto il pretesto per scendere sempre più a fondo nell’analisi del legame reciproco, anche biologico, connesso alla sfera istintuale; analisi, o indagine, fatta di dialoghi, azioni, contrasti, silenzi, accudimento tenace, abbandono ai sentimenti.

Inizia anche la parte più visionaria del film, là dove viene varcata la soglia della notte come non luogo, come spazio della minaccia e del possibile, come desolazione periferica disseminata di drugstore dalle luci al neon coloratissime e abbaglianti, sorriso sinistro che accomuna tutte le facce dell’America da un oceano all’altro, da farmacie che ricordano Magnolia, da depositi di rottami, da anime perse e pusher suadenti, in un ‘fuori orario’ dai toni drammatici che diventa frenetico, iniziatico, incrociarsi, procedere insieme, separarsi di madre e figlio, con geometrie narrative mai casuali.

All’alba Ben, come un animale malato, andrà a cercare la morte in una rimessa abbandonata per mezzo di un’ultima dose di eroina. Holly riuscirà a salvarlo somministrandogli un antagonista oppioide (probabilmente narcan) datole dalla madre di Maggie, ma quest’ultima sequenza, cruda e piena di pathos, chiudendosi bruscamente lascia aperti tutti gli interrogativi sul futuro dei due. Come capita nella vita.

 

https://youtu.be/L4IlTltV5UE