Il viaggio a ritroso del giudice Maye. ‘The children act’ con Emma Thompson

Il viaggio a ritroso del giudice Maye. ‘The children act’ con Emma Thompson, tratto dal romanzo ‘La ballata di Adam Henry’ di Ian McEwan

di Lucia Tempestini 20-10-2018

Emma Thompson e Fionn Whitehead in ‘The children act’

La luce del primo mattino, ancora bagnata di notte, tenue poi sempre più vivida, definisce il nitore delle linee interne dell’appartamento londinese del giudice Fiona Maye: il parquet di legno nudo, griogiognolo, coperto a tratti da piccoli, eleganti tappeti a losanghe dalle tonalità verde spento, rosso, ocra chiaro, la sobrietà e l’ordine di ogni oggetto e mobile. Sulle pareti scivola l’evanescenza di un tempo sospeso, i vuoti albeggianti di Hopper e la solitudine rappresa nel fermo immagine di Arrangiamento in grigio e nero di Whistler. Sentimento di solitudine che si è incollato addosso al giudice dalla sera prima, insieme alla rabbia che prova chi riceve un colpo inaspettato, o un’ingiustizia crudele e incomprensibile.

Suo marito Jack se n’è andato per il fine settimana, rimproverandola, con sfumature di rassegnazione malinconica e rimpianto, di non avere più interesse al contatto fisico e rivendicando la necessità e il diritto a un’avventura, pur senza voler mettere a rischio il loro matrimonio. Fiona reagisce con sdegno, e con la muta consapevolezza (che tuttavia si rivela nei gesti appena accennati, delle mani in particolare, di ritrazione definitiva, irreversibile) di non potergli offrire quell’affettuosità che sente di non possedere più.

La legge si è impossessata della sua vita, persino del suo corpo, delle sue forme mentali. Durante i fine settimana è sempre di turno per le emergenze, sempre reperibile, sempre pronta ad organizzare udienze per casi urgenti, spesso casi di vita o di morte. Si occupa di diritto di famiglia e tutela dei minori, bambini e ragazzi smarriti nell’ottusità e nei contrasti degli adulti, di chi dovrebbe potreggerli e invece li usa come mezzi di rivalsa, ricatto e potere. Oppure bimbi gravemente malati, o gemelli siamesi destinati alla morte, che è indispensabile operare per poterne salvare almeno uno. Il giudice Maye impiega la maggior parte del tempo della sua vita ad esaminare i dossier, ad ascoltare testimonianze e consulenze, a guardare, nella penombra dello studio, le foto dei ragazzi, per capire meglio, per non cedere terreno all’emotività e alla confusione. In fondo, incarna ed esprime nelle sue meditate, asciutte sentenze, l’aspetto nobile e laico della Legge, conscia che il mondo nasce dal Caos e tende incessantemente a deragliare nell’entropia, e quindi che la giustizia debba diventare un atto creativo, separando i vari elementi, tracciando delle linee invisibili quanto ferme per dare forma a un’idea di società umana il più lontana possibile dalla sopraffazione, dai luoghi comuni, dai vari settarismi e millenarismi. Per dare un’opportunità di vita e felicità ad esseri ancora in formazione, superando fatalismo e darwinismo. Con Jack condivide idealmente il concetto che la specie umana abbia avuto un solo periodo felice, situato tra la fuga degli Dei e l’avvento del cristianesimo, quando l’uomo è rimasto da solo a guardare in faccia se stesso.

Nei momenti liberi si dedica al pianoforte, addentrandosi nel perfezionismo matematico delle sarabande, con l’alternanza scientifica di semiminime e minime, anche in questo caso alla ricerca di un ordine che sia denso e complesso, legato alla connessione delle idee. E, approssimandosi il periodo natalizio, si diverte provando insieme a un collega avvocato con velleità tenorili delle canzoni tradizionali per una festa della high society.

Proprio durante il primo weekend solitario il suo deferentissimo, devoto, trepido cancelliere/maggiordomo (un personaggio che non avrebbe sfigurato nel teatro di Shakespeare, anche per le garbate controscene brillanti di cui è il motore) le annuncia un caso di estrema gravità e urgenza: Adam Henry, un diciassettenne la cui famiglia milita nei Testimoni di Geova, affetto da leucemia, si trova in ospedale e necessita di trasfusioni di sangue per avere una speranza di vita. Naturalmente la famiglia, e lo stesso ragazzo, si oppongono per i motivi risaputi: il sangue coincide con l’identità ed è un dono di dio, perciò mischiare il proprio sangue con quello di un’altra persona significa rinnegare dio e se stessi, uscire dalla Verità (si sa bene che esiste una Verità inconfutabile per ogni fanatico che infesta questo sfortunato pianeta).

Ciò che colpisce il giudice, durante l’udienza organizzata in tutta velocità per il martedì successivo, è il ritratto che i testimoni fanno di Adam. Un ragazzo insolito, profondo, sensibile, amante dello studio e della poesia. Elementi caratteriali che lo differenziano dalla cieca caparbietà biblica della setta cui ha aderito e che spingono Fiona ad adottare una procedura insolita e tutto sommato inutile, dato che in casi come questo la decisione del giudice è scontata, ossia incontrare Adam in ospedale per ascoltare le sue motivazioni.

Emma Thompson in ‘The children act’

Quando decidiamo di incontrare l’Altro intraprendiamo sempre un viaggio di formazione, ed è quello che succede a Fiona. Nella stanza asettica d’ospedale si trova davanti un ragazzo sofferente, già toccato dal pallore della morte, bello come un poeta romantico, deciso a immolarsi per la propria fede eppure stranamente appassionato e legato alla vita in modo febbrile. Il colloquio prende subito una direzione inaspettata, i due si vedono e si ascoltano a un livello non razionale bensì emotivo. Fiona nell’ardore di Adam ritrova il tempo della sua adolescenza libera e selvaggia passata a Newcastle con le cugine, dove il limes romano fortificato segna ancora oggi il confine fra Inghilterra e Scozia. Adam (Fionn Whitehead) si accende di entusiasmo davanti alla composta, nuda umanità del giudice, e dai toni messianici passa a una concitazione stupita. Un ragazzo speciale, molto fragile e solo, che le mostra la chitarra del nonno coperta di tracce di vita e accenna Down by The Salley Gardens di Yeats, che finiranno per cantare insieme, osservati con disappunto dall’assistente sociale, in una delle molte scene capolavoro del film.

Al momento di separarsi Adam la supplica di restare ancora un po’, ma è il turbamento stesso a indurre Fiona a uscire con decisione dalla camera, citando proprio un verso di Yeats, la vita è come l’erba/va presa come viene, in modo lievemente ironico. E sforzandosi di non girare la testa verso le città in fiamme che la lambiscono con il loro calore e rischiano di avvincerla.

Grazie alla sentenza di Fiona, Adam migliora, viene dimesso e riprende gli studi. Ma non è più lo stesso, non crede più nei genitori né nella loro fede ossessiva. Un continuo vento di pensieri, di domande senza risposta, di poesie, gli attraversa la testa. E’ disancorato, vorrebbe una guida, qualcuno in grado di accoglierlo e proteggerlo. Qualcuno che desideri amarlo. Cerca disperatamente Fiona con ogni mezzo, le scrive, le telefona, le lascia messaggi registrati, fa in modo di trovarsi nei luoghi che frequenta, la ferma, le parla con il trasporto numinoso di un giovane veggente, di un poeta in preda alla follia.

La donna cerca di segnare le distanze, di indurlo ad allontanarsi; è dura, secca, irremovibile perché ha paura di se stessa, del sentimento che a poco a poco si sta impadronendo di lei, oltre ogni ragionevolezza e ogni dovere deontologico e morale. Adam riesce a rintracciarla persino durante un viaggio di lavoro nel Nord dell’Inghilterra, proprio a Newcastle. Una sera sfida la pioggia battente per andare a trovarla nella dimora di campagna dov’è ospite, edificio austero e respingente con le sue stanze gelide e le colonne esterne coperte alla base di muschio. Dopo una conversazione in cui le confida i motivi per cui durante i giorni trascorsi in ospedale sarebbe morto volentieri (dilatazione dell’ego, immaginare le esequie con i propri cari afflitti, la ‘bella morte’ con tanto di eroico martirio diffuso dai media, ecc.) e il cambiamento interiore seguito alla visita del ‘suo’ giudice, le chiede apertamente di diventare la sua guida, di accoglierlo in casa, di rispondere alla sue domande, di aiutarlo a capire.

Con un gesto estremo di volontà, che le causa una visibile ferita emotiva, il giudice Maye chiede al cancelliere di chiamare un taxi per riportarlo alla stazione. Fiona indossa un abito corto color prugna, scuro semplice ed elegante, che a seconda dei movimenti rilascia riflessi di seta che fanno pensare alle squame iridescenti di Geraldine, la dama fatale e ultraterrena del poema di Coleridge. Disperato, sulla soglia di casa, dentro un velo di pioggia, Adam la bacia sulle labbra, prima di allontanarsi. Quel bacio sarà un dono decisivo e insieme una dannazione.

Adam morirà poco tempo dopo, la notte di Natale, ripreso dal male e deciso a non curarsi. Non per dio o una qualsiasi fede, ma per essere libero. Fiona farà in tempo a salutarlo un’ultima volta in ospedale, dopo essere fuggita dalla festa nella quale stava suonando Down by The Salley Gardens, stordita dal dolore. Abbandonandosi al pianto racconterà al marito, in un momento di ritrovata complicità, tutta la vicenda e i suoi sentimenti per quel ragazzo insolito e straordinario.

Resta da dire che Emma Thompson è una di quelle rarissime interpreti che si sono recate in luoghi ignoti ai più a sperimentare l’essenza della cognizione del dolore e sono tornate indietro per mostrarcela, con una ricchezza di sfumature, di sottigliezze, di controllo e rivelazione, di ironia e strazio senza uguali nella storia del cinema.

Scheda film:

  • Titolo originale: The Children Act
  • Regia: Richard Eyre
  • Cast: Emma Thompson, Fionn Whitehead, Stanley Tucci, Ben Chaplin, Rupert Vansittart, Rosie Boore, Anthony Calf, Jason Watkins, Nikki Amuka-Bird, Honey Holmes
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 105 minuti
  • Produzione: Gran Bretagna, 2017
  • Distribuzione: Bim Distribuzione
  • Data di uscita: 18 ottobre 2018