Tutto è ancora possibile… Non c’è un solo finale. ‘Il mio profilo migliore’ di Safy Nebbou, con Juliette Binoche
@Loredana Pitino (06-10-2019)
Diretto e sceneggiato da Safy Nebbou – regista teatrale – Il mio profilo migliore, uscito nel 2019 e presentato al Festival di Berlino, è tratto dal romanzo Quella che vi pare di Camille Laurens.
Il film si presenterebbe meglio se mantenesse il suo titolo originario, Celle que vous croyez, o la versione in inglese Who You think I am; entrambi riflettono il senso del soggetto: una vicenda che ricorda l’indagine pirandelliana o borgesiana sulla verità e l’identità focalizzata nella nostra società “liquida” dominata dai social network.
Una donna, le sue crisi, la sua passione, i suoi sogni, le sue ossessioni.
Claire, una docente che ha superato i cinquanta anni, impegnata in una relazione con un giovane amante, Ludo, del quale è gelosa, crea un falso profilo su fb per indagare su di lui. Sceglie di nascondersi dietro un’altra identità, quella dell’attraente ventiquattrenne Clare. Attraverso il falso profilo, contatta il miglior amico di Ludo, Alex. Inizierà così una relazione virtuale ma, disperatamente, reale. Reale per lei, reale per lui, anche se per ciascuno si tratterà di una realtà diversa.
Claire non vuole rinunciare alla vita, alla passione, all’amore che le è stato rubato, costruisce per Clare una vita che non esiste se non nella sua mente e nei suoi sogni. Si reinventa giovane e bella, affascinante e intrigante come era stata un tempo, come lui, Alex, vorrebbe che fosse; porta avanti questo gioco di finzione finché le è possibile. Claire è una donna con un grande vuoto; cerca di riempirlo ingannando il giovane Alex ma anche se stessa: “Non siamo mai troppo grandi per essere piccoli, avevo bisogno di essere coccolata…. anche con delle illusioni”.
Fra menzogne e inganni, il gioco virtuale deve diventare reale, questo è ciò che vuole Alex, ciò che vorrebbe Claire, se non fosse per la sua rivale “inesistente” Clare: non può competere con lei, non può svelare ad Alex la sua verità. La sua scelta di autenticità avrà conseguenze devastanti per tutti e due. E non solo.
Un tema in questi ultimi anni molto trattato dalla cronaca, dai sociologi, dagli psicologi, banalizzato in molti film di cassetta, frequente nelle discussioni, con risvolti a volte gravi, cioè la possibilità di deformare, trasformare, la nostra realtà attraverso la molteplice flessibilità di internet, viene affrontato dal regista con la serietà dell’indagine sui sentimenti. La vicenda mette in scena uno spaccato della società multimediale in cui viviamo immersi, ma non la giudica, non la banalizza, bensì la usa come contesto per una introspezione sulla fragilità di tutti i personaggi.
La narrazione che procede attraverso il racconto che Claire fa alla sua psicoanalista (struttura indubbiamente non originale), trova per questa vicenda una cifra di rappresentazione lenta nel suo procedere, appassionante, per quella sorta di inchiesta che porterà verso il finale, i finali, della storia, sorprendente e spiazzante.
Interessante e sottile, nel corso del racconto, è una serie di riferimenti che la protagonista, nelle sue lezioni di letteratura, fa alle eroine o alle scrittrici, che, ognuna a suo modo, incarnano la difficoltà di essere donna e di vivere un amore duraturo e gratificante, ad esempio Marguerite Duras o Nora, di Casa di bambola di Ibsen.
La pellicola si arricchisce di una fotografia, di Gilles Porte, delicata ed evocativa che accompagna i momenti del racconto giocando con le luci e i chiaroscuri, come le musiche, create appositamente da Ibrahim Maalouf, che suggeriscono una perfetta mimesi emozionale delle infinite sfumature di sentimento provate dalla protagonista. La tentazione di strutturare la rivelazione psicologica della trama attraverso lo schema del giallo è stata suggerita al regista dalla sua passione per Alfred Hitchcock, in particolare per La donna che visse due volte, come egli stesso ha dichiarato nell’intervista rilasciata a Berlino all’uscita del film. Sul gioco e sulla finzione che vengono macchinati da Claire, il regista ha dichiarato: “non è forse il cinema qualcosa che ci impone, per tutta la durata di un lungometraggio, di considerare reale qualcosa di finto?”
Dà corpo e voce a Claire, antieroina tragica, di più, dà la luce del suo sguardo, l’attrice Juliette Binoche – Orso d’argento, BAFTA e premio Oscar come miglior attrice non protagonista nel 1997 per Il paziente inglese* – inquietante e bella, forse più adesso di quando era giovane, intensa e sensuale. Su di lei si posa la macchina da presa con la delicatezza di una pennellata o di una carezza.
Il cast è completato dagli attori François Civil (nei panni di Alex), Nicole Garcia (la terapista Catherine Bormans) e Guillaume Gouix (è Ludo).
*più: Coppa Volpi miglior attrice per Tre colori – Film Blu (Venezia 1993), Prix d’interprétation féminine per Copia conforme (Cannes 2010).