Nell’ora delle streghe i Pixies sono tornati. Il concerto alle Officine Grandi Riparazioni nell’esoterica Torino
@Edoardo Fontana (15-10-2019)
TORINO – «With your feet on the air/ And your head on the ground/ Try this trick and spin it, yeah/ Your head will collapse/ But there’s nothing in it/ And you’ll ask yourself:/ Where is my mind?». Con questa domanda i Pixies hanno forse scritto la colonna sonora dei nostri anni Novanta. Dal 1988, quando Where is my mind apparve – era la settima traccia del loro album d’esordio, Surfer Rosa – ne sono passati 31. Eppure l’idea di un mondo confuso, di un disastro esistenziale con pochi precedenti non sembra essere stato superato dagli eventi del nuovo millennio.
Sabato 12 ottobre, alle Officine Grandi Riparazioni di Torino, un edificio di archeologia industriale di raro fascino, gremito da un pubblico il più eterogeneo immaginabile, i Pixies hanno suonato per la loro seconda e ultima data italiana.
Sul palco caratterizzato dal consueto spoglio minimalismo, unico vezzo il nome della band sulla batteria, si sono esibiti per due ore, arrivando in perfetto orario come degli esordienti, suonando quasi quaranta canzoni, senza alcuna interruzione e infine salutando tutti con un sorriso e con la sensazione che tutti e quattro si siano divertiti quanto il loro pubblico che ha ballato, cantato, quasi tutte le canzoni. E si è anche commosso certamente.
Black Francis, con la sua t-shirt ordinaria e l’atteggiamento antidivistico di sempre ha cantato alcune canzoni del nuovo album Beneath The Eyrie, con una voce matura per tornare presto al falsetto urlato di canzoni come Tame, come Caribou. On the Graveyard Hill è una lirica di morte, magia e dannazione che balena sinistramente nella città del triangolo magico: «when the moon growssmaller / Donna picks out a flower / Givesher a witchy power / There in the witching hour».
Paz Lenchantin, ex The Inner Circle, ha sostituito la storica bassista Kim Deal, cercandone, in qualche modo i continui, ‘controtempo’. È proprio il basso a ritmare l’originalità del sound del gruppo di Boston, così iPixies hanno traghettato l’indie, il garage e il noise degli anni Ottanta nel grunge che avrebbe reso famosi i Nirvana e i Pearl Jam, per dire solo i nomi più in vista. Eppure il loro suono straniante fatto di rallentamenti e accelerazioni repentine, di testi apparentemente semplici ma gremiti di citazioni bibliche di messaggi criptici, di numerologia ebraica, «if the devilissix/the Godisseven» non è facilmente incasellabile – Kim Deal l’aveva definita, non senza una ragione, noise-pop: due terzi rumore, un terzo pop − galleggiando con estrema facilità tra tanti generi diversi, occhieggiando talvolta perfino, appunto, al pop.
Lasciando le canzoni più famose in fondo alla scaletta hanno suonato buona parte del loro repertorio. Fornendoci una concezione del mondo in cui l’uomo non è che un primate senza alcuna capacità di discernimento, dicendocelo con la banalità di una ballata pop; una scimmia che forse andrà in paradiso (This monkey’s gone to heaven), ma che resta pur sempre una scimmia. Ancora la Bibbia, per rivelare in un piano sequenza la storia d’amore, il tradimento, preso con ironia e distacco della universale storia di Sansone e Dalila: «Sleeping on your bed / You break my arms / You spoon my eyes / Been rubbing a bad charm / With holy fingers» suggerendoci di fuggire se si vuole «Gouge away / You can gouge away» oppure di restare (Gouge away). Per parlare del nulla forse: «Talking sweet about nothing» perche siamo tutti sciocchi come in Tame, che deride la facilità melliflua delle canzoni d’amore.
Di certo un manifesto della loro poetica è infine Hey, come molte delle loro canzoni dura il tempo di un amen, un claustrofobico crescendo, la voce acuta di Black Francis alterna suoni onomatopeici al falsetto precipitandoci in una situazione surreale, «’Uh’ said the man to the lady / ‘Uh’ said the lady to the man she adored / And the whores like a choir / Go ‘uh’ all night».
Con la loro musica si ha sempre l’impressione di trovarci di fronte a un muro sonoro, a una trama indistinta dove nessuno strumento, nessuna voce mai prevale. Un ritmo talvolta violento, sincopato, eppure contenuto come per non straripare, per trattenere qualcosa, per non andare mai oltre. Oppure oltre ci sono già andati: Black Francis, voce, chitarra − Joey Santiago, chitarra − David Lovering , batteria − Paz Lenchantin, basso… i Pixies.