Il rispetto del lavoro. ‘Gli angeli nascosti di Luchino Visconti’ di Silvia Giulietti
@Agata Motta (09-10-2019)
Esce in sala in questi giorni, ma è stato realizzato nel 2007, il breve film documentario intitolato Gli angeli nascosti di Luchino Visconti che apre un varco insolito sulla figura di uno dei registi più raccontati, studiati, analizzati del panorama italiano e lo fa attraverso le voci dei suoi collaboratori invisibili, quelli che con il paziente e nobile lavoro squisitamente “tecnico” hanno contribuito alla sua grandezza. Alcuni erano entrati nell’universo cinematografico attraverso un canale privilegiato – Daniele Nannuzzi, direttore delle fotografia figlio del celebre Armando (cui l’opera è dedicata), Federico Del Zoppo, direttore della fotografia nipote del fondatore dell’A.I.C. e Lucio Trentini, organizzatore di produzione figlio del Direttore generale della Lux film – altri invece vi erano arrivati per caso, per giovanile intraprendenza e per tenacia come Nino Cristiani, operatore alla macchina da presa, Peppe Berardini, direttore della fotografia, e Mario Tursi, fotografo di scena cui si deve la concessione delle immagini d’archivio utilizzate per la realizzazione del documentario.
Gli angeli nascosti diventano però coprotagonisti in questo racconto per immagini, parole e musica strutturato come un libro, in capitoli che vanno dal primo incontro con il Maestro alla sua eredità morale. Incastrati tra l’inizio e la fine gli altri capitoli sul modo particolare di girare – fu il primo a girare con tre macchine da presa contemporaneamente, una in campo lungo e due con zoom sugli attori – sulle leggende metropolitane circolanti nell’ambiente, sul complicato rapporto con gli attori, sulla comunione d’intenti che riusciva a creare con la troupe attraverso una spiegazione puntuale e semplice su ciò che intendeva fare, sui piaceri della tavola, che voleva sempre ricca e affollata, sui regali sorprendenti e costosi che dovevano allietare il Natale dei collaboratori, sulla malattia alla quale si oppose con spirito pugnace, sull’ultimo incontro.
La regia e il montaggio di Silvia Giulietti sono semplici e puliti e proprio per questo assai efficaci. La Giulietti si concentra sull’essenziale, i ricordi personalissimi e diversi dei vari personaggi, ricordi scaturiti come risposte ad un’intervista immaginaria. Ogni angelo si racconta nel proprio rapporto privilegiato con Visconti attraverso il filtro della propria personalità e sensibilità e porge quindi “inquadrature sull’uomo” da angolazioni di volta in volta diverse: scanzonate, nostalgiche, tenere, commosse, ma sempre accompagnate dall’orgoglio per il lavoro svolto “per” e soprattutto “con” Visconti, sempre grati per quell’ampia e meravigliosa parentesi di vita durante la quale sono stati interlocutori privilegiati di un Maestro indiscusso e indimenticato. Si compone così un affresco originale, costruito con piccole tessere che creano un insieme sfaccettato dalle moltiplici e affascinanti sfumature, accompagnato dalle garbate e a tratti malinconiche musiche di Rocco De Rosa.
Il periodo di riferimento, quello che ha visto gli angeli attorno al Maestro non come attoniti discepoli ma come stretti e apprezzati sodali, si snoda grosso modo negli anni Sessanta e Settanta. Sono lontani i tempi del fermento ideologico che scuoteva con entusiasmi giovanili la redazione della rivista Cinema, il luogo maestro della formazione di Visconti e dei tanti intellettuali – Umberto Barbaro, Cesare Zavattini, Giuseppe De Santis, Mario Alicata – che avrebbero contribuito a quella rivoluzione culturale all’insegna del realismo che segnerà in maniera indelebile il panorama postbellico. E sono lontane le polemiche legate al primo capolavoro, Ossessione, punto di approdo della sua ricerca personale e snodo ineludibile che porterà alla grande stagione del Neorealismo. Lontani nel tempo ma non nella poetica e nelle scelte estetiche del Visconti maturo che al suo cinema antropomorfico che vuol raccontare “gli uomini vivi nelle cose e non le cose per se stesse” e all’intenzione di mettere l’attore al centro del lavoro di regia non girerà mai le spalle, così come germoglieranno in modi sempre più sontuosi quell’attenzione agli aspetti figurativi e alle questioni tecniche cui era stato abituato tramite la collaborazione giornalistica gomito a gomito con intellettuali appartenenti a diversi settori artistici in quella fucina di idee condivise e di aspre diatribe che fu Cinema nella fase della direzione lontana e discreta di Vittorio Mussolini, quella rivista che verrà in seguito definita “cellula comunista nel cuore del potere” o più polemicamente come nucleo dei “redenti”. Senza dimenticare il prezioso impegno teatrale che di certo nutriva il cinema, in un rapporto osmotico, negli aspetti prettamente estetici e recitativi.
Il documentario, dunque, ci conduce con immagini belle e rare – montate in rapida successione con stacchi netti o in morbide dissolvenze o in progressivi affondi nel cuore delle foto – sui set di Bellissima, Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo, La caduta degli dei, Vaghe stelle dell’Orsa, Ludwig fino a L’innocente, l’ultimo film girato quando la malattia l’aveva già penosamente colpito. Vi incontriamo i volti di attori indimenticabili, ma soprattutto incontriamo lui, Luchino Visconti, l’uomo e il regista con le sue caratteristiche di umanità e magnanimità, con la sua intransigenza nei confronti di chi osava profanare il luogo sacro del set con voci scomposte o con abbigliamenti indecorosi, con la sua durezza, divenuta persino aneddotica, nei confronti del capriccioso divismo degli attori, con il suo gusto raffinatissimo per gli oggetti di uso personale e per gli elementi necessari all’allestimento del profilmico, per il quale esigeva che la produzione non badasse a spese, con la sua forza d’animo nei momenti durissimi della convalescenza, con il suo sguardo avido di perfezione che si posava su tutto e che tutto vedeva. L’uomo che Alberto Moravia aveva definito con un pizzico di malignità “cortese”, attribuendo all’aggettivo il doppio valore di uomo gentile e di uomo bisognoso di una corte, si rivela elegante e signorile, un uomo che ebbe nei confronti della sua “piccola corte” di collaboratori (e non di adulatori) un atteggiamento sicuramente esigente ma anche paritario, paterno e rispettoso. Ed è proprio sul senso di rispetto del lavoro di tutti che poggia una delle eredità morali più gradite e più solide lasciate ai suoi collaboratori da un artista che, attraverso il marchio incancellabile impresso in chi ama il cinema, ha potuto ambire all’unica immortalità concessa agli uomini.
Purtroppo oggi alcuni di questi angeli non sono più con noi (Peppe Berardini, Lucio Trentini e Mario Tursi) ed è particolarmente toccante guardarli parlare, sorridere, ricordare con la consapevolezza della loro assenza. Fa piacere comunque averli conosciuti, anche se soltanto per 54 minuti.
GLI ANGELI NASCOSTI DI LUCHINO VISCONTI
In sala dal: 10 ottobre 2019
Documentario | Italia, 2007 | 54 min
Regia: Silvia Giulietti
Cast: Federico Del Zoppo, Daniele Nannuzzi, Giuseppe Berardini, Michele Cristiani, Lucio Trentin, Mario Tursi
Produzione: iFrame