A very nice place with zombies. Dal Festival di Cannes l’esilarante e disperato ‘The Dead don’t Die’ di Jim Jarmusch
di Lucia Tempestini 16-06-2019
FIRENZE (Odeon CineHall) – Le lapidi inclinate del cimitero danno la sensazione di essere state disegnate a china, facendo slittare The dead don’t die fin dalle immagini iniziali verso la graphic-novel più sofisticata e avvincente. Ci troviamo nella cittadina di Centerville, a very nice place, dove le parole, le frasi, ricorrono nelle conversazioni come il tema musicale di una ballata d’altri tempi. Spesso ripetute da personaggi diversi, servono a riempire il tempo dilatato e stagnante proprio dei luoghi marginali e dimenticati. Tutti si conoscono e si muovono fra i punti di riferimento cruciali di ogni storia di genere (o di generi): il bosco, regno di Eremita Bob (Tom Waits), riottoso e sarcastico riciclatore di scarti entropici e occasionale ladro di polli, il diner vintage con le brocche di caffè sui fornelli gestito da Fern e Lily, il motel, il carcere minorile, l’emporio/distributore di benzina sul quale si stende una luce hopperiana e liminale che però assume una declinazione fumettistica o leggiadramente kinghiana. E ancora, la centrale di polizia in cui Cliff, Ronald e Mindy (Bill Murray, Adam Driver e Chloë Sevigny) nelle triangolazioni dialogiche si scambiano laconiche, ellittiche allusioni. Sevigny si ritaglia uno spazio di particolare intensità, instillando nel personaggio di Mindy una realistica, umana angoscia, attraverso minime variazioni progressive da grande attrice.
La nuova titolare delle pompe funebri, Zelda Winston, scozzese dall’impeccabile accento Oxbridge, suscita una sonnolenta inquietudine negli abitanti. Capelli bianchi lisci e sguardo che attraversa l’interlocutore, si muove con incuriosita noncuranza fra la vita e la morte, camminando con improvvisi cambiamenti di direzione ad angolo retto e truccando i defunti secondo un’estetica da musical transgender anni ’80. Ha arredato una grande sala presente nell’edificio in modo da ricreare l’essenzialità di un tempio giapponese, e nei momenti liberi rende omaggio a un Buddha dorato tracciando nell’aria, con lentezza e precisione, le linee dell’arte della katana praticata dai samurai. La disciplina mentale e fisica che sta all’origine di ogni gesto plasma una danza stilizzata, rituale, nella quale Tilda Swinton dà un ennesimo saggio della sua originalità performativa.
Radio e tv, le cui trasmissioni sono sempre più disturbate da interferenze magnetiche (le stesse che bloccano cellulari e orologi), riferiscono di strani fenomeni in-naturali attribuiti al fracking dei poli appena attuato dalle compagnie petrolifere americane, e nello stesso tempo riportano le dichiarazioni arroganti delle ‘autorità’ e degli stessi petrolieri: l’operazione non comporta rischi ed è necessaria all’approvvigionamento energetico e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Fracking è l’abbreviazione di ‘hydraulic fracturing’, una tecnica per estrarre gas non convenzionale che consiste nel frantumare la roccia (in questo caso il ghiaccio) usando fluidi saturi di sostanze chimiche iniettati nel sottosuolo ad alta pressione. Inventata nel 1947 e praticata diffusamente dal 1997, è stata esentata nel 2005 dall’osservanza delle leggi di protezione ambientale per iniziativa del duo Bush-Cheney.
Questi fenomeni, causati dall’alterazione del moto dell’asse terrestre scatenata dal fracking, investono all’improvviso anche Centerville. Il rapporto fra le ore diurne e quelle notturne si fa ondivago, gli animali si nascondono e diventano aggressivi o scappano nei boschi, gli uccelli scompaiono. Una luna verdastra alonata di vibrazioni viola ri-anima i morti, in realtà morti già in vita e per questo incapaci di trovare una via di fuga dalla dimensione immanente e materialista del consumo, della coazione a riprodurre, all’infinito, come macchine celibi e ridicolmente perverse, le ossessioni da cui erano sopraffatti in vita. Cercano cellulari e game boy, chardonnay e caffè, accessori fashion di cattivo gusto e giocattoli, e si nutrono di altri esseri umani con una voracità fuori tempo massimo. Le sequenze delle aggressioni sono acide e spesso esilaranti, eppure lasciano una scia di amarezza profonda. Jarmusch con un tono leggero e mimetico che divaga fra horror, apologo ecologista e fantascienza (ebbene sì, ci sono anche gli Alieni), sostenuto dal montaggio di Affonso Gonçalves, firma la sua opera più disperata. Una disperazione senza sgomento, quasi una constatazione arresa e nostalgica che si lascia trasportare, simile a una foglia, dalle note della canzone The Dead don’t Die di Sturgill Simpson.
Ringraziamo Odeon CineHall per la preziosa collaborazione.
Titolo originale | The Dead Don’t Die | ||
Lingua originale | inglese | ||
Paese di produzione | Stati Uniti d’America, Svezia | ||
Anno | 2019 | ||
Durata | 105 min | ||
Genere | commedia, orrore, fantastico | ||
Regia | Jim Jarmusch | ||
Sceneggiatura | Jim Jarmusch | ||
Produttore | Joshua Astrachan, Carter Logan | ||
Casa di produzione | Animal Kingdom, Film i Väst | ||
Distribuzione italiana | Universal Pictures | ||
Fotografia | Frederick Elmes | ||
Montaggio | Affonso Gonçalves | ||
Effetti speciali | Michael Fontaine, Johann Kunz, Alex Hansson, Sam O’Hare | ||
Musiche | SQÜRL | ||
Scenografia | Alex DiGerlando | ||
Costumi | Catherine George | ||
Interpreti e personaggi | |||
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