Antonio Castronuovo studioso e interprete delle forme brevi
di Amedeo Ansaldi
Antonio Castronuovo, Tutto il mondo è palese, Imola, Babbomorto Editore, 2019
Antonio Castronuovo, Se mi guardo fuori, Imola, Editrice La Mandragora, 2007
È stata riproposta nel giugno 2019 da Babbomorto Editore (Imola), con minime variazioni rispetto alla prima edizione (Mobydick 2006), la raccolta di aforismi Tutto il mondo è palese di Antonio Castronuovo: iniziativa che offre al lettore una seconda occasione per avvicinarsi a una delle più significative voci aforistiche italiane del nuovo secolo.
L’attività letteraria di Castronuovo, ingegno eclettico e insonne se mai altri, non si limita alle forme brevi: egli è narratore (le 50 novelle canagliesche di Demoni e coboldi, a mezza strada fra Rabelais, Basile e Collodi, nelle quali trova compiuta espressione lo spirito ‘ribaldo’ dell’autore), saggista (Suicidi d’autore, Stampa Alternativa 2003; La vedova allegra. Breve storia della ghigliottina, Stampa Alternativa 2006; Ossa, cervelli, mummie e capelli, Quodlibet 2016), biografo (Cioran, Gaston de Pawlowski, Dino Campana, Angelo Fortunato Formiggini, Alfred Jarry, Federigo Valli, ecc.), traduttore (Stendhal, Apollinaire, Jarry, Renard, Gide, Unamuno, Weil, Némirovsky, ecc.), curatore inesausto (ricordiamo, fra le altre cose,i Diari di Friedrich Hebbel, Editrice La Mandragora 1998, e La commedia dei filosofi di Albert Camus, Via del Vento 2010), giornalista pubblicista (direttore o collaboratore di svariate storiche riviste quali ‘Il Caffè illustrato’, ‘Belfagor’, ‘Il Ponte’, ‘L’Indice’, ‘La Piê’ e ‘Cartapesta’), valentissimo e infaticabile conferenziere, editore, interprete e studioso della patafisica fra i massimi in Italia (Della Patafisica: diverticoli sulla Scienza delle Scienze, La Mandragora 2013)…E qui doverosamente ci fermiamo: troppo lungo sarebbe elencare la messe completa dei suoi lavori – pubblicati talvolta anche conlo pseudonimo di Roberto Asnicar – che include più di 150 titoli.
Con attinenza all’attività critica, in questa sede citeremo almeno una delle sue più recenti fatiche: il saggio, puntuale ed esauriente, L’aforisma italiano del XXI secolo (contenuto nella rivista trimestrale ‘Nuova Informazione Bibliografica’ della casa editrice il Mulino, n. 3 luglio-settembre 2017, pp. 463-502), fondamentale per orientarsi fra gli sviluppi contemporanei delle forme brevi in Italia – senza dimenticare che Castronuovo è anche giurato storico del prestigioso ‘Premio Internazionale per l’Aforisma Torino in sintesi’, l’unico nel nostro Paese interamente dedicato a questo genere letterario.
Esperto e promotore dell’aforisma, Castronuovo è anche autore in prima persona, e di rilievo, come Tutto il mondo è palese ampiamente attesta. La silloge non è stata la sua prima prova aforistica. Come segnala nel suo prezioso ‘preludio’ Gino Ruozzi, il massimo studioso di forme brevi in Italia, altre l’hanno preceduta (Palingenesi del frammento, Pellicani 1995; Rovi, Stampa Alternativa 2000; Il mito di Atene, Editrice La Mandragora 2001; Quilismi per un bambino ucciso, Via Heràkleia 2001), e un’altra almeno l’ha seguita: i diari e aforismi di Se mi guardo fuori, Editrice La Mandragora 2008; ma resta forse la più esemplare e aderente al modello classico dell’aforisma lapidario, folgorante, che non supera – quasi – mai le due righe di lunghezza.
La raccolta (200 aforismi) si caratterizza, oltre che per l’ammirevole stringatezza formale, perla non comune continuità: una ‘tenuta’ garantita, certo, dall’ingegno mai sopito dell’autore, ma forse anche, un po’, dal triste spettacolo offerto dalla società contemporanea, fonte d’ispirazione quotidiana, del quale Castronuovo è, con amara ironia – e qualche sottintesa crudeltà – puntuale osservatore.
Il tono leggero, quasi distaccato, derivante dall’indole innata e dalla dimestichezza con l’universo patafisico, non tragga in inganno: esso non esclude mai l’affondo velenoso. Lo sguardo di Castronuovo scandaglia in profondità, senza mai distogliersi ipocritamente dalle storture, le ordinarie codardie, le grettezze innominabili che caratterizzano la sfera umana.
Una delle vittime predilette dall’autore (poiché l’aforisma ha sempre un bersaglio da centrare) sono i fasulli cerebralismi di tanta presunta intellighenzia, nei confronti della quale l’autore manifesta uno sdegno frenato dal ricorso sistematico all’ironia:
“Epoca in cui chi andava con lo scrittore imparava a scritturare.”
“Chiamavano cultura la perenne organizzazione di eventi.”
“Edipo fece cilecca con la mamma. La psicanalisi dovette inventarsi un altro complesso.”
“Il suo incubo notturno: essere oggetto, dopo la scomparsa, di letteratura erudita.”
“La rivoluzione finì quando si estinsero le edizioni pirata.”
Altrove – ma il terreno in fondo è analogo – sembra riecheggiare la tradizione dei grandi ‘malpensanti’ italiani del Novecento, segnatamente Longanesi, Flaiano, Bufalino: sequenze di aforismi nei quali non mancano tratti di scanzonata perfidia etrovano felice espressione la causticità e la naturale bizzarria degli spiriti:
“Dava sempre il buon esempio. Glielo restituivano ammaccato.”
“Gli restituì il libro donato, ma non quello prestato.”
“La fama giunse postuma, ma gli eredi la rifiutarono.”
“Non andava a votare, ma spiava dalla finestra quelli che entravano nel seggio.”
“Aveva votato l’anima a una sola impresa, ma non il corpo.”
“Madre: una che lo amava a suon di grassi insaturi.”
“Fu una manifestazione eccezionale; i partecipanti erano, secondo l’organizzazione, meno di quelli contati dalla questura.”
Un’altra categoria particolare è quella degli aforismi da leggersi preferibilmente in coppia, procedimento che vanta illustri antecedenti; poiché se è vero che ogni aforisma degno di tal nome deve essere dotato di autonomia di significato ed essere svincolato da qualunque contesto, non è raro che il senso che sprigiona possa uscirne moltiplicato se letto, appunto, accoppiato, o in arguta contrapposizione, a un altro: due aforismi che si lumeggiano e completano vicendevolmente, confluendo in un’unica idea o, se si preferisce, sottintendendone una terza, che scorre sotterranea, come in questi due tipici casi:
“Storia antica: essere letti senza essere stampati.”-“Storia moderna; essere stampati senza essere letti.”
“I guerrafondai manifestarono pacificamente.”-“I pacifisti giunsero alle mani, e furon botte.”
Il volumetto non disdegna nemmeno calembour, freddure, riscritture argute e ironiche di proverbi e detti popolari, ai quali basta talvolta cambiare, levare o aggiungere una parola (o perfino una lettera, come nel caso del titolo), o apporre appendici inattese, per ottenere gli effetti più sorprendenti:
“Mise una pietra sul passato. E quello urlava.”
“L’uovo! rispose. Ma gli restò sempre il dubbio sulla gallina.”
“Tornò più volte a cercare nel lardo la zampina. Ma già le avevano miagolato che non era possibile riattaccarla.”
“Non comprese l’eccezione finché non vide la ciambella senza buco.”
“Stanco di portar nottole ad Atene, si mise a cavar ragni dai buchi.”
“All’alba, la notte si scoprì ancora carica di consigli.”
“Gli fecero delle domande a bruciapelo. Se la cavò con qualche ustione.”
Al di là della causticità insita per natura nel genere-aforisma, qua e là pare di cogliere una vena sottilmente malinconica– l’altra faccia dell’amaro disincanto che percorre l’intera raccolta:
“Passarono una bella serata a dimenticare insieme i tempi andati.”
“Visse d’arte. Morì di fame.”
Accenti che ritroveremo anche nei più corsivi e fluenti diari – e qui passiamo al posteriore, e non meno significativo, Se mi guardo fuori, nei quali, come in ogni zibaldone che si rispetti, le osservazioni prendono spesso spunto da piccoli episodi quotidiani per assurgere a riflessioni e pensieri di più estesa portata:
“Mi piace stare in treno, specie quando si ferma alle stazioni: dal finestrino osservo le persone sulle banchine. Oggi è la volta di un uomo calvo, alto e gioviale, un po’ timido, che sorride e parla a qualcuno. Sui sessant’anni. Anche lui soffrirà, e sparirà. Guardo il nulla che vive.”
“Mercatino antiquario. Una bancarella di vecchi libri espone un mio vecchio titolo. Osservo l’oggetto in una sorta di estasi. Precorro il senso della morte. Muori e diventi un libro vecchio su una bancarella…”
“Parcheggio sui viali e, per andare a Palazzo A., passo tra prostitute che, tranquillamente nude, lavorano sui marciapiedi. Io invece sono in giacca e cravatta. Mi guardano. Mi sento nudo io.”
“Oggi sono stato a un funerale, poi dal dentista e infine a lavorare.
Come definire un giorno così?”
Un altro leitmotiv, forse il tema più ricorrente, sono le riflessioni sulla letteratura nei suoi vari aspetti: tante le pagine dalle quali emerge una prepotente, inguaribile bibliofilia lato sensu. Per cominciare, anche Castronuovo si cimenta nel classico sottogenere dell’aforisma sull’aforisma – passaggio obbligato per ciascun cultore delle forme brevi e felice modello di autoreferenzialità:
“Scrivere un libro conservando il materiale di scarto, per farne un settore di frammenti e aforismi.
Una pattumiera della scrittura per barboni raffinati, quelli che cercano mozziconi non totalmente fumati.”
Gli interessi letterari dell’autore sono, del resto, ad ampio spettro; lo stesso impegno critico, del quale è lucido e scaltrito cultore, non si riduce, nella sua visione del fenomeno, alla mera registrazione delle qualità e dei difetti di un’opera, ma si impone anzi per la sua carica di indipendenza e originalità, nella doverosa rivalutazione di un esercizio che conta tanti ingenerosi detrattori:
“Agli spregiatori della critica: leggo l’opera, e resto indifferente; leggo il saggio critico sull’opera, e l’interesse sorge. La critica offre senso all’opera, e la rende anche interessante. Ciò dovrebbe capitare solo dopo che hai letto l’opera. Capita a volte che il saggio critico tolga energia alla lettura dell’opera: sono i saggi migliori, quelli che, letti prima dell’opera, l’hanno sostituita.”
La bibliofilia, di cui si diceva, e il puntiglioso anelito verso il bello stile vi trovano, qua e là, accenti singolarissimi, memorandi:
“Dalla buona o pessima scelta del libro che ti accompagnerà in un viaggio dipende la sua riuscita. Il giorno che precede la partenza: giorno di doglie.”
“Indimenticabile immagine della perfezione: lo scrittore che, suicidandosi, corregge una parola, per evitare un’assonanza, nella lettera lasciata per il commissario di polizia.”
I libri sono, beninteso, la delizia – ma anche la croce di chi perdutamente li ama (o in qualche caso, inevitabilmente, li odia). L’altra faccia della bibliofilia è costituita appunto dalle delusioni che può cagionare la loro lettura, e si comprenderà facilmente che queste saranno allora le più cocenti. D’altronde, le aspettative di un bibliofilo saranno sempre straordinariamente elevate (e giustificheranno, in via indiretta, tante impietose stroncature):
“Il lettore deve essere usuraio col libro: pretendere dall’oggetto un interesse altissimo. Deve leggere ma esigere un guadagno molto alto, molto più alto della fatica spesa a leggere.”
Talvolta basta una frase estrapolata senza intenzione per intuire il tenore ignobile di una pubblicazione e indurre, saggiamente, a evitarla:
“Apro casualmente la pagina di un libro. Leggo: «La verità trionfa sempre». Lo chiudo disgustato.”
Riflettendo sugli effetti che la lettura esercita sull’animo umano, Castronuovo non ignora che esistono anche libri, magari buoni in sé, ma dalle conseguenze ambigue, quando non nefaste, ove cadano in orecchie volgari, non adatte a recepirle convenientemente: quelli che non fanno scorrere solo fiumi di inchiostro (mero spreco), ma anche fiumi di sangue (le grandi, periodiche tragedie che segnano la storia umana, e che non di rado hanno alla propria radice un libro ‘maledetto’):
“Letti cento libri l’uomo perde la sua naturale e ferina cattiveria. Solo di rado, letti cento libri, egli radica in sé il valore della malvagità. In genere, sono questi gli uomini più crudeli.”
E non sarà forse difficile assegnare nomi e volti inconfondibili a questa tipologia di uomini, ai quali l’eccezionale crudeltà ha conferito, ahinoi, la statura di personaggi storici.
Rimedio agli abusi del potere – o, se si preferisce, onesto palliativo che salvaguarda, se non altro, la dignità dell’artista– sarà allora la figura dell’intellettuale – inteso stavolta nel suo senso più alto – tratteggiata in questo bellissimo elogio della dissidenza:
“La mente in solitudine che ascolta, osserva, annota: una sorta di intercettazione illegale della realtà. Mente temibile – e infatti temuta da ogni dittatura…”
Se mi guardo fuori è, in definitiva, diario interiore più che resoconto di fatti: basti dire che non vi è, nelle sue 424 pagine, alcun accenno alla professione che l’autore svolgeva allora quotidianamente, quella di medico del lavoro. Contiene invece tante acute annotazioni psicologiche, di quelle che ci si aspetta appunto dal sottile moralista:
“Una moglie, un marito, crederanno che vai in viaggio per tradirli. Viaggiare equivale senza dubbio a essere infedeli, solo che il tradimento si consuma sempre con una omelette, con un paio di occhi sfuggenti, con la tristezza, con un negozietto di cianfrusaglie. Con queste cose trovi una consonanza. Ecco perché si tratta di veri tradimenti.”
“Il violento, il dogmatico, l’intransigente – sono anche persone stupide: basta fargli credere che hanno ragione…”
“L’eccezione si manifestava una volta allontanandosi molto dalla regola.Ora allontanandosi di molto poco.”
“Sbagliò diagnosi – e non perdonò mai al paziente di avere un’altra malattia.”
Nella sua coerente integrità intellettuale, l’autore respinge qualsiasi macchinoso e ipocrita adescamento dell’imperante polically correct e non esita a confessare, per es., che di fronte allo spettacolo indecoroso della sciatteria del mondo contemporaneo (“per salvare lo stile sono disposto a giocarmi la democrazia…”) o a riportare e commentare favorevolmente una sgradevole considerazione di Valéry, nell’amara consapevolezza che la verità ha spesso un sapore ingrato:
“Leggo sui Quaderni di Paul Valéry questa sconvolgente nota: «La donna, serve a fare a meno della donna» (V, p. 66). Può essere giudicata oltraggiosa, insolente, provocatoria, ma quanto è vera…”
Vi sono poi tanti aforismi inclassificabili, ‘anarchici’, che si faticherà a far rientrare in un discorso coerente e organico quale – vanamente – avrebbe voluto essere questo, e forse sono i più belli, certo i più inattesi e sorprendenti. Concludiamo citandone uno, uno solo, per lasciare al lettore accorto il piacere di scoprirli – e ve ne sono tanti – fra le pieghe dell’affascinante zibaldone:
“Visceralità di un tempio, di una chiesa. Come entrare in un duodeno, come guardare nell’occhiello di un colonscopio.”