Coco Chanel, l’interprete del secolo nuovo
di Antonella Falco 08-06-2019
Gabrielle Bonheur Chanel nasce a Saumur il 19 agosto del 1883. Il suo è un ambiente familiare disagiato, privazione e sofferenza segnano i primi anni di vita. Rimasta orfana, dopo la morte della madre e l’abbandono da parte del padre, vive per anni nell’orfanotrofio di Aubazine, gestito dalle suore del Sacro Cuore. Proprio dalle suore Gabrielle apprende le nozioni di base dell’arte sartoriale, inoltre l’austerità e il rigore delle vesti monacali saranno per lei motivo di ispirazione per la scelta futura del bianco e del nero quali colori di riferimento per una eleganza dallo stile sobrio e dalle linee semplici.
A diciotto anni Gabrielle inizia ad esibirsi come cantante di cabaret, è probabilmente in questo periodo che nasce il suo soprannome, Coco, che diventerà immortale come il suo mito. La parentesi come cantante dura poco, ben presto Coco inizia a lavorare in qualità di sarta presso la maison Grampayre. In quello stesso anno, il 1904, conosce Etienne de Balsan, un ufficiale di cavalleria di facoltose origini, essendo figlio di imprenditori tessili. Con lui Coco intrattiene una relazione sentimentale che dura sei anni, andando a vivere nel castello di lui a Royalliu, ma soprattutto Etienne è il suo primo finanziatore. Nel 1909 Coco avvia la produzione di cappellini in paglia, adornati con piccoli nastri, piume o fiori: sono copricapi discreti, sobri, facili da portare, lontani anni luce dai cappelli in voga in quel periodo, talmente sofisticati, da richiedere, per essere indossati, una sorta di “impalcatura” di sostegno chiamata Pompadour. È questa la prima rivoluzione attuata da Chanel, che a partire da Emilienne D’Alençon, ex amante di Balsan, attraverso la rete di amicizie del compagno, riesce a crearsi una prima, altolocata, clientela.
Vivere nel castello di Royallieu, significa per Coco trascorrere le giornate a contatto con i purosangue di Balsan, grande appassionato di cavalli e di corse. Lei stessa diviene brava a cavalcare, ma soprattutto la vita equestre è fonte di ispirazione suggerendole successivamente la creazione dei pantaloni da cavallerizza e delle cravattine lavorate a maglia. Proprio presso il castello del suo primo amante Coco incontra Arthur Capel, un giocatore di polo britannico, da lei soprannominato Boy: è lui il grande e sfortunato amore della sua vita. Anche Boy ha una attività imprenditoriale, a Newcastle, specializzata nell’esportazione di carbone. Capel finanzia a sua volta l’attività di Chanel, ma a differenza del primo amante che non comprendeva il suo estro creativo e la sua volontà di lavorare, Boy si dimostra sempre pronto a spronarla e a sostenerla. Andati a vivere insieme a Parigi, Capel anticipa i soldi che permettono a Coco di aprire la sua boutique al numero 21 di Rue Cambon. Nonostante il forte sentimento che li unisce, Boy e Coco non si sposeranno mai: lui è un’esponente dell’alta borghesia, lei una figlia di nessuno cresciuta in orfanotrofio. Capel sposerà un’altra donna, senza che questo significhi la fine della relazione con Chanel.
Nel 1913 Coco riesce ad aprire un nuovo negozio a Deauville, una località balneare dove, ispirandosi ai marinai del posto, rielabora il loro abbigliamento creando dei maglioni in stile marinaro. Lo stile di Coco Chanel si va così delineando attraverso l’osservazione delle persone che la circondano, spesso uomini e donne comuni, e il suo intento principale è quello di realizzare abiti pratici, funzionali, comodi per lavorare e pertanto sganciati dallo stile fino ad allora imperante della Belle Époque che aveva tenuto le donne ingabbiate in corsetti e cappelli voluminosi.
Durante l’estate del 1914 la boutique di Chanel decolla, le ricche signore che trascorrono le vacanze a Deauville approfittano del negozio per acquistare cappellini e abiti leggeri. Scoppiata la prima guerra mondiale, Capel, grazie ai suoi giacimenti di carbone, rifornisce gli Alleati e ha modo di entrare in contatto con personalità importanti, arrivando a divenire consigliere del primo ministro francese Georges Clemenceau. Questi suoi rapporti gli consentono di venire a conoscenza di informazioni private, è così che nel momento in cui Chanel sta per chiudere il suo negozio, Boy le consiglia di tenerlo aperto. Con i loro uomini partiti per il fronte, le donne francesi fanno ritorno a Deauville e si dedicano ad opere di volontariato e di assistenza ai feriti. Quello di Coco è l’unico negozio di abbigliamento rimasto aperto e inoltre offre degli abiti dallo stile pratico, perfetti per le esigenze del momento. Come la stessa Chanel ricorda: «Finiva un mondo, un altro stava per nascere. Io stavo là; si presentò un’opportunità, la presi. Avevo l’età di quel secolo nuovo che si rivolse dunque a me per l’espressione del suo guardaroba. Occorreva semplicità, comodità, nitidezza: gli offrii tutto questo, a sua insaputa».
Nel luglio del 1915 Chanel apre un nuovo negozio a Biarritz, al confine con la Spagna, che si mantiene neutrale nell’ambito del conflitto, e inizia a produrre abiti anche per una clientela di ricche signore spagnole.
Il 1916 è per Chanel l’anno del jersey: ne acquista una partita dall’industriale tessile Jean Rodier e con esso avvia la produzione di nuovi capi d’abbigliamento. Il jersey è una stoffa realizzata a maglia rasata, usata dai pescatori dell’isola inglese di Jersey e ritenuta fino ad allora non adatta alla sartoria. Coco prende a utilizzarla inizialmente perché è un tessuto economico, ma poi continua a farne uso anche in seguito, quando ormai la sua fama di stilista è ampiamente consolidata, perché ne apprezza le caratteristiche di elasticità, morbidezza al tatto, leggerezza e facilità di lavorazione che le permettono di creare abiti dotati di ottima vestibilità. Intorno all’uso del jersey da parte di Chanel circola, tuttavia, anche un’altra versione secondo cui il contratto da lei firmato per Rue Cambon prevedeva che il negozio vendesse solamente cappelli, dal momento che nelle vicinanze si trovava già un negozio di abbigliamento. Poiché il jersey all’epoca non è considerato un materiale per abiti femminili, Coco riesce ad aggirare i termini contrattuali. L’utilizzo del jersey è la seconda grande innovazione introdotta da Chanel nel mondo della moda.
In questo periodo Coco conosce Misia Sert (Sert è il cognome del suo terzo marito, mentre il suo nome per esteso è Maria Zofia Olga Zenajda Godebska), una russa naturalizzata francese, famosa per il suo salotto artistico-letterario parigino e per essere stata musa ispiratrice di numerosi artisti. Divenute amiche intime, Coco ha modo grazie a Misia di conoscere personaggi quali Pablo Picasso, Max Jacob, Jean Cocteau, Igor Stravinsky.
Intanto l’amore per Arthur Capel è destinato a concludersi tragicamente: nella notte fra il 22 e il 23 dicembre del 1919, Boy, in viaggio da Parigi verso Cannes, ha un grave incidente automobilistico e muore all’età di trentotto anni. Il drammatico epilogo della sua più intensa storia d’amore spinge Chanel a concentrarsi unicamente sul lavoro. Gli anni Venti sono alle porte, come altri importanti traguardi professionali. In questo decennio Coco lancia la moda del capello corto: accade a causa di un piccolo incidente domestico, si brucia infatti una ciocca di capelli su un fornello e decide di tagliare anche il resto. Il nuovo taglio è ben presto adottato da numerose altre giovani donne.
Nel 1921, nasce il primo profumo firmato Chanel, quel N° 5 che diventerà simbolo di seduzione e charme anche grazie all’ormai mitica affermazione di Marilyn Monroe, che in una intervista del 1952 dichiara: «Cosa indosso a letto? Chanel N° 5, ovviamente». Commissionato al chimico Ernest Beaux, rappresenta una vera e propria innovazione per l’epoca, poiché miscela essenze naturali con aldeidi, vale a dire essenze sintetiche in grado di prolungare più a lungo la durata della fragranza. Com’è naturale anche la scelta del nome è circondata dalla leggenda: si racconta che semplicemente Coco abbia scelto la quinta boccetta fra le varie che Beaux ha preparato come prova; un’altra versione sostiene che il profumo sia stato chiamato così perché lanciato il cinque maggio, dunque il quinto giorno del quinto mese dell’anno, e che pertanto Chanel abbia voluto che tale numero, tra l’altro il suo preferito, gli portasse fortuna. Sta di fatto che è un profumo del tutto nuovo, che non assomiglia a nessun’altra fragranza allora presente sul mercato. Quella profumazione piacevole ma sfuggente alle convenzioni dell’epoca, quel bouquet sofisticato e provocante, in cui le note artificiali non fanno rimpiangere quelle naturali ma si fondono con queste per creare il «profumo elaborato» che Coco ha preteso, danno vita al più grande successo della storia della profumeria moderna: Chanel N° 5 è il profumo più venduto di sempre, in Francia mantiene inalterato il suo primato di vendite fino al 2011, anno in cui viene superato da J’adore di Christian Dior.
Nel 1926 Chanel lancia una delle sue creazioni più iconiche: il tubino nero. Le petite robe noire, il vestitino nero, che nelle intenzioni della sua creatrice deve essere adatto a qualsiasi occasione: sobrio, essenziale, elegante, mai eccessivo, mai sopra le righe, mai, appunto, fuori luogo, è a tutt’oggi il capo d’abbigliamento che non può assolutamente mancare in ogni guardaroba femminile che si rispetti. La rivista statunitense Vogue saluta con favore l’avvento del nuovo abito, paragonandolo a un’auto: «Ecco a voi la Ford firmata Chanel».
Durante gli anni Trenta Coco intraprende anche la creazione di gioielli. Fino ad allora i suoi capi erano stati impreziositi principalmente con elementi di bigiotteria, quali perle false, catenelle dorate, gioielli di cristallo e finte pietre, ma una volta tornata da un viaggio in America, ad Hollywood, dove lavora come costumista per il cinema, inizia, a partire dal 1934, a creare per i propri abiti gioielli veri, facendosi aiutare dai disegnatori Etienne de Beaumont e Fulco di Verdura. Per quanto concerne l’attività di costumista, l’esordio risale al 1911: è in quell’anno che un suo cappellino di paglia compare sulla scena del Bel ami di Guy de Maupassant, graziosamente posato sulla testa dell’attrice Gabrielle Dorziat. Nel 1922 disegna i costumi di Antigone del poeta e drammaturgo Jean Cocteau, in quell’occasione Chanel crea delle tuniche di lana grezza adornate con decorazioni di ascendenza greca. La collaborazione con Cocteau si ripete nel 1924, quando Coco realizza gli abiti per i danzatori di Le train bleu, balletto di Bronislava Nižinskaja. Successivamente ha modo di conoscere Samuel Goldwyn che la invita negli Stati Uniti per realizzare i costumi dei suoi film, così, nel 1931, accompagnata dall’amica Misia Sert, Chanel vola negli USA. Secondo il contratto deve vestire Gloria Swanson, tuttavia l’attrice non ama indossare gli abiti di un solo stilista e di conseguenza l’avventura americana di Chanel si conclude dopo un solo film.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, Coco prende la decisione di chiudere il suo atelier, affermando che non è quello il tempo per la moda. Gli anni della guerra vedono purtroppo una compromissione di Chanel con il governo d’occupazione nazista e con esponenti del controspionaggio tedesco e delle SS. Arrestata per queste sue relazioni, viene rilasciata dopo un lungo interrogatorio e nel 1945 si “esilia” in Svizzera, partendo poi nel 1953 alla volta di New York.
Durante la sua assenza dalle scene modaiole, si affaccia alla ribalta di quel mondo Christian Dior, che nel 1946 apre il suo atelier a Parigi proponendo un New Look che in realtà si ispira al passato, rispolverando bustini e gonne lunghe tipici della Belle Époque. Chanel prova disgusto per le proposte del rivale e di lui afferma sprezzante: «addobba delle poltrone, non veste delle donne: l’eleganza è ridurre il tutto alla più chic, costosa, raffinata povertà».
Come molti sanno, il ritorno di Coco è segnato da un episodio divenuto proverbiale: la realizzazione di un abito da ballo con una tenda di taffetà. È il 1953, Marie-Hélène de Rotschild, figlia di Edmond e di Maggy van Zuylen, si accinge a partecipare al ballo più importante dell’anno, ma quando Chanel vede il vestito che ha intenzione di indossare lo definisce «un orrore». Così ne crea seduta stante uno nuovo, usando il tessuto di una tenda e lo cuce direttamente sul corpo della ragazza che, rientrata dalla festa, riferisce a Coco la forte impressione che l’abito ha suscitato fra gli invitati. È così che all’età di settantuno anni Chanel riapre la sua maison presentando al pubblico una nuova collezione il 5 febbraio del 1954. I trenta nuovi modelli lasciano dapprima un po’ freddi gli addetti ai lavori francesi, ma sono accolti con entusiasmo dal nuovo mercato americano che ne decreta il successo. Pezzo forte di questa collezione è il tailleur di tweed con la gonna che copre il ginocchio e la giacchetta corta dai bottoni dorati.
Nel 1955 Chanel decide di ideare un nuovo tipo di borsetta, meglio rispondente alle esigenze della donna degli anni Cinquanta, vale a dire una donna moderna, attiva e dinamica. Motivo per cui il nuovo modello di borsa deve unire all’eleganza anche la funzionalità e la praticità. Fino a quel momento, nelle occasioni formali, le donne hanno portato delle pochette scomode perché tali da dover essere tenute in mano. L’idea di Chanel è semplice e geniale: alla borsetta matelassè – ossia trapuntata – viene aggiunta una catenella metallica regolabile, che permette alle donne di portarla a spalla o a tracolla. Il design si ispira, come accaduto altre volte per altre creazioni di Chanel, al guardaroba maschile, in particolar modo nel caso specifico a quello che gli stallieri indossavano negli ippodromi. I primi modelli sono realizzati in jersey, tessuto come si è visto caro a Coco, ma successivamente si utilizza anche la pelle d’agnello. L’iconica e innovativa borsetta viene battezzata 2.55, con riferimento al mese e all’anno della sua creazione, il febbraio del 1955, e sembra racchiudere in sé rimandi e simbologie riguardanti la vita stessa di Chanel: a parte la cucitura matelassè che si è già detto sembra sia stata ispirata dai giubbotti degli uomini di scuderia visti da Coco al tempo in cui frequentava le corse dei cavalli, l’interno della borsetta, di un colore bordeaux intenso, ricorderebbe le divise dei bambini del brefotrofio in cui è cresciuta, e la catenella della tracolla i portachiavi dei custodi dello stesso istituto. Leggenda vuole, inoltre, che nella tasca sottostante alla patta di chiusura, Coco tenesse le lettere dei suoi amanti, mentre la taschina sul retro della borsa sarebbe stata adibita a conservare monete e banconote. Ad ogni modo, dal 1955 ad oggi, la 2.55, a volte oggetto di qualche piccolo restyling, altre volte riproposta nella sua versione originale, non manca di fare la sua apparizione in passerella, accompagnando le nuove creazioni della maison, e può essere considerata di fatto una delle borse più desiderate e amate dalle donne, al pari della Birkin bag di Hermès, tuttavia nata in anni molto più recenti.
Coco Chanel muore il 10 gennaio 1971 in una camera dell’hotel Ritz di Parigi all’età di 87 anni. Il suo patrimonio è stato lasciato all’associazione Coga, nata a Vaduz nel 1965. La gestione della maison viene dapprima affidata ai suoi più stretti collaboratori per poi passare saldamente nelle mani del geniale stilista tedesco Karl Lagerfeld che l’ha diretta dal 1983 fino alla morte, avvenuta il 19 febbraio 2019.
A mademoiselle Coco va il merito indiscusso di aver rivoluzionato la moda del suo tempo e di aver creato di fatto lo stile della donna novecentesca, una donna moderna, attiva, dinamica, autonoma, che lavora fuori casa e che necessita di un abbigliamento capace di unire eleganza e confort, classe e funzionalità, ricercatezza e senso pratico: «Fino a quel momento – afferma Chanel – avevamo vestito donne inutili, oziose, donne a cui le cameriere dovevano infilare le maniche; invece, avevo ormai una clientela di donne attive; una donna attiva ha bisogno di sentirsi a suo agio nel proprio vestito. Bisogna potersi rimboccare le maniche». Chanel dà a questa nuova figura di donna che si affaccia alla ribalta del mondo il guardaroba adeguato. D’altra parte anche le petite robe noire, il tubino, è austero come la tunica di una suora e pratico come la divisa di una commessa. «La vera eleganza – dichiara Coco – non può prescindere dalla piena possibilità del libero movimento». E infatti dal 1913 fino agli anni Trenta Chanel non fa che accorciare la lunghezza delle gonne (che arrivano sotto il ginocchio), rendere più comodo il punto vita (che si abbassa) e promuovere l’uso di materiali di grande confort e vestibilità (come il jersey) e uno stile (abiti alla marinara, pantaloni femminili) dinamico e facile da portare. Insomma Chanel, se non crea propriamente la donna del XX secolo, di sicuro ne crea l’abito.
L’ispirazione la trae sempre dalle persone che la circondano, dalle figure di donne e uomini che lavorano, per questo è stata vista come la regina del genere povero, ma di una povertà di lusso, che può anche concedersi il privilegio di essere snob. Lo stilista Paul Poiret ha definito quello di Chanel un «miserabilismo di lusso». Nel liberare, in fatto di abbigliamento, la donna del XX secolo, Coco ha guardato più alle figure maschili che a quelle femminili, e d’altronde non poteva essere diversamente, essendo state le donne, fino a quel momento, delle belle e oziose statuine ingabbiate nei corsetti, nelle vesti lunghe fino ai piedi e nei cappelli impomatati della Belle Époque, mentre gli uomini erano le figure produttive, lavoratrici, dinamiche della società: è pertanto al loro modo di vestire che mademoiselle si ispira, piegando alle necessità femminili gli abiti maschili, e facendo nascere la moda donna non dal contrasto con quella maschile ma dal paradosso. Dall’unione degli opposti, e dunque appunto dal paradosso di far scaturire il massimo della femminilità da modelli maschili, si crea e si esalta la donna di Chanel.
[box] Ogni giorno è una sfilata, e il mondo è la tua passerella.
Il buon gusto nel vestire è qualcosa di innato, come la sensibilità del palato.
La moda passa, lo stile resta.
Una donna senza profumo non andrà da nessuna parte.
Una donna senza profumo è una donna senza avvenire.
Una donna dovrebbe indossare il proprio profumo ovunque le piace essere baciata.
Il profumo è l’accessorio di moda basilare, indimenticabile, non visto, quello che preannuncia il tuo arrivo e prolunga la tua partenza.
La bellezza serve alle donne per essere amate dagli uomini, la stupidità per amare gli uomini.
Non riesco a capire come una donna possa uscire di casa senza sistemarsi un minimo, anche solo per educazione. Non si sa mai, magari proprio quel giorno è destino che incontri l’uomo della sua vita, ed è meglio prepararsi bene al destino.
Non mi pento di nulla nella mia vita, eccetto di quello che non ho fatto.
La moda riflette i tempi in cui si vive, anche se, quando i tempi sono banali, preferiamo dimenticarlo.
La semplicità è la nota fondamentale di ogni vera eleganza. Per essere insostituibili bisogna essere unici.
Una donna con ai piedi delle belle scarpe non è mai brutta.
Un uomo può indossare ciò che vuole. Resterà sempre un accessorio della donna.
Di quante preoccupazioni ci si libera quando si decide non di essere qualcosa bensì qualcuno.
Una donna è più vicina ad essere nuda quando è ben vestita.
Nessun uomo ti farà sentire protetta e al sicuro come un cappotto di cachemire e un paio di occhiali neri.
Se hai capito che gli uomini sono dei bambini, allora hai capito tutto della vita.
Prima di uscire, guardati allo specchio e levati qualcosa.
La passione passa, la noia resta.
Se una donna è malvestita si nota l’abito. Se è impeccabile si nota la donna.
La bellezza comincia nel momento in cui decidi di essere te stesso.
Una donna a diciannove anni può essere attraente, a ventinove seducente ma solo a trentanove può essere irresistibile. E più di trentanove anni non dimostrerà mai nessuna donna che una volta nella vita sia stata irresistibile.
Io non faccio la moda, io sono la moda.
Alcune persone pensano che il lusso sia l’opposto della povertà. Non lo è. È l’opposto della volgarità.
Il lusso è una necessità che inizia quando la necessità finisce.
Amo il lusso. Esso non giace nella ricchezza e nel fasto ma nell’assenza della volgarità. La volgarità è la più brutta parola della nostra lingua. Rimango in gioco per combatterla.
La natura ti dà la faccia che hai a vent’anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a cinquant’anni.
La forza si ottiene con i fallimenti, non con i propri successi. [/box]