Quando lo Stato ti divora. ‘Sulla mia pelle’ allo Stensen di Firenze, con Ilaria Cucchi e Luigi Manconi
di Sergio Cervini & Lucia Tempestini 02-12-2018
FIRENZE – Alla fine, la colpa è sempre dei morti. Di chi finisce, per un motivo qualsiasi, negli ingranaggi dello Stato e ne viene stritolato. Può accadere a chiunque di noi, in ogni momento, di non corrispondere più all’immagine del cittadino modello: un ultracorpo che lavora, si sposa, si riproduce, consuma, guarda la tv, ripete luoghi comuni da dizionario flaubertiano, è convinto (o si convince) che gli stivali sono neri e lo zucchero è bianco, vota in base agli slogan di turno e non al libero pensiero, entra nell’onda (come viene detto in ‘Troppa grazia’ di Zanasi) dell’eterno fascismo italiano, che sa rivestirsi di colori sempre diversi, mimetico come un camaleonte (dostoevskijano), fa finta di non vedere gli anziani che raccolgono la verdura scartata nei mercati rionali o il vicino di casa che, a poco a poco, si consuma nell’indigenza. Tutto questo preferibilmente in silenzio.
Perché la prima cosa che ti viene detta è stai zitto. Te lo dicono nell’esercito, non rispondere ai superiori, stai zitto! Te lo dicono in ospedale, i medici sanno quello che dicono, non li contesti. Te lo dice il capetto di turno, per umiliarti e toglierti ogni barlume di identità, stai zitto/a, non rispondere! Te lo dicono in alcune case di riposo (o di tortura), stai zitto/a, ormai non sei più niente, non conti più niente.
A Stefano Cucchi l’hanno detto probabilmente i carabinieri dopo l’arresto, in caserma, mentre gli sfondavano la schiena di calci. Come ha spiegato in modo esemplare il prof. Luigi Manconi, il corpo del cittadino, dovrebbe essere sacro per lo Stato, il dovere di chi rappresenta questa entità astratta e spesso crudele è di proteggere il corpo umano, perché la dignità individuale risiede prima di tutto nel corpo, preservarlo da qualunque insidia, addirittura risanarlo, a seconda dell’ambito in cui si agisce.
Ma la forma mentis in Italia (e in moltissimi altre Nazioni) è diversa. Il cittadino che si allontana, sia pure di poco dalla norma, assume il ruolo del nemico da abbattere, la creatura xena cui ‘spezzare le reni’, l’uomo o la donna superflui da eliminare con disprezzo.
Così Riccardo Magherini è stato percosso e soffocato in una via centrale di Firenze, mentre gridava aiuto, aiutatemi devastato da un attacco di panico. Una ‘morte in diretta’, ripresa dalle telecamere e dai telefonini dei testimoni. Eppure, nonostante due striminzite sentenze di colpevolezza, la Corte di Cassazione ha deciso di assolvere gli imputati perché il fatto non costituisce reato. Ossia, un uomo in preda all’angoscia è stato ucciso però questo non rappresenta un crimine.
Così Francesco Mastrogiovanni, vicenda terribile ricordata da Manconi, caduto in un temporaneo stato confusionale viene sottoposto al TSO e crocifisso per 87 ore a un letto di contenzione nella totale indifferenza e incuria del personale che lo avrebbe dovuto assistere. Legato fino alla morte, anzi oltre la morte, visto che i ‘sanitari’ si sono accorti del decesso con qualche ora di ritardo. E, proprio a questo riguardo, il prof. Manconi ha espresso inquietudine e sdegno verso i rappresentanti dello stato che si fanno esecutori e torturatori, una forma di connivenza inaccettabile, soprattutto perché si rinuncia ad alcune fra le principali qualità che ci danno connotazione umana: l’empatia e la responsabilità.
Il martirio di Stefano assume tinte altrettanto cupe. Con due fratture vertebrali e dolori lancinanti viene ricoverato nella struttura ‘protetta’ (?) del ‘Sandro Pertini’, dove le uniche cure somministrate sono dei bruschi moniti guardi che è grave, ha due vertebre fratturate, deve muoversi il meno possibile. Dove i genitori, pieni di apprensione, vengono respinti da un citofono che, con voce ogni volta diversa, enumera regole contraddittorie e vessatorie riguardanti le visite dei parenti. Dove, infine, viene lasciato morire di fame e di sete. L’ultima notte chiede a un infermiere un po’ di cioccolata, l’illusione di un po’ di conforto, di infanzia, ma naturalmente la struttura non dispone di cioccolata.
Chissà quali sono stati gli ultimi pensieri di Stefano (rappresentato, vissuto nella sua stessa carne da un Alessandro Borghi impressionante), le ultime sensazioni, mentre i reni cessavano di funzionare e il cuore rallentava, mentre probabilmente lo straziava la certezza che la sua famiglia lo avesse abbandonato.