This is not only America: “Ippolito” di Euripide secondo Nicola Alberto Orofino a “Porte aperte”
di Loredana Pitino 02-08-2019
CATANIA – La famiglia non è il luogo della sicurezza e dell’amore; il rifugio e il nido di protezione. Non sempre. Lo sappiamo noi, nel nostro secolo complicato e conflittuale, come lo sapeva Euripide nel 428 a.C quando mise in scena per la prima volta ad Atene, ottenendo la vittoria, il suo Ippolito portatore di corona; i due personaggi principali, Fedra e Ippolito, che, non a caso, sulla scena non si incontrano mai, agiscono in modo da svilire il valore fondante della famiglia, e, per questo, sono destinati ad un destino crudele. Ippolito rifiuta la corporeità: si definisce casto, devoto di Artemide. Fedra uno dei personaggi più profondi del teatro greco, invece è invasata dalla passione carnale, che le ha “inflitto” Afrodite. La tragedia della passione sfrenata e deprecabile, così dissacratoria e cinica ha avuto molte riscritture e interpretazioni: da Seneca a Racine, da D’Annunzio al catalano Espriu, i quali tutti, però, si sono concentrati maggiormente sul personaggio femminile. Ad ogni epoca la propria Fedra, personaggio che incarna per certi versi, le ideologie e le sensibilità, anche religiose, degli autori e dei differenti momenti storici. Importante la modifica che ne fece Racine, nella Francia protestante: il senso di colpa della donna amante del figliastro si tramuta in un profondissimo senso di peccato con il suo pesante fardello di angoscia che devasta l’anima cristiana e non più pagana della matrigna infida.
Il Teatro Stabile di Catania, in collaborazione con l’associazione Madè, ha messo in scena in uno dei cortili interni del Monastero dei Benedettini di Catania, per la rassegna Porte aperte Unict, una nuova interpretazione del dramma Euripideo – traduzione, adattamento e regia di Nicola Alberto Orofino il quale ha scelto di collocare la dolorosa vicenda nel contesto dell’America degli anni Cinquanta, l’America di Eisenhower, “bigotta e omertosa, razzista e maschilista”. L’accostamento, stridente in un primo momento, agli occhi di uno spettatore purista o pigro, comincia a convincere lentamente grazie ad alcune soluzioni di regia e scenografia, grazie alla scelta di musiche d’epoca, grazie all’interpretazione calibrata su un accurato mestiere dei quattro attori in scena: Egle Doria, Silvio Laviano, Luana Toscano, Gianmarco Arcadipane, ognuno impegnato in più ruoli. Si tratta di immaginare un nuovo possibile scenario dentro al quale fare rivivere conflitti eterni, universali. L’America che porta in scena Orofino è un luogo presente nel comune immaginario anche per certa letteratura – evocata più o meno volutamente – in una sorta di Pastorale americana di stampo classico, ma è anche il nostro mondo borghese, con tutte le contraddizioni dell’oggi, in cui la famiglia viene vista come luogo dei conflitti, delle menzogne, dei tradimenti, della calunnia, della morte. Il contrasto tra Afrodite e Artemide, passione e ragione, istinto e controllo, si conclude con la sconfitta degli esseri umani: Fedra muore suicida, Ippolito cade vittima della calunnia e della vendetta del padre, Teseo, il grande re tradito e ingannato, solo nel dolore più grande che si possa immaginare, chiuso nel senso di colpa e nell’angoscia. Gli dei vincono – le dee qui – escono di scena ridendo delle sciagure degli uomini, stringendo un sodalizio lì dove hanno distrutto la vita. In Euripide non più come deus ex machina, ma come artefici primi del dolore degli uomini, qui come personificazione (freudiana) delle forze inconoscibili che governano la vita. E per questo, anche fuori dalla Grecia di Euripide o dall’America di Orofino, questa tragedia ci coinvolge sempre. Fra tutte le trovate della regia colpiscono favorevolmente alcune soluzioni, come quella di affidare a Silvio Laviano il racconto del prologo, o quella di creare i due altari alle dee con le fotografie nelle lapidi. Sembra, invece, particolarmente caricata verso l’eccesso la scelta di rendere Afrodite come una maîtresse da casa chiusa molto esuberante. Così come appare una forzatura l’atto sessuale mimato in scena, quasi imposto da Fedra, una brava Egle Doria, ad Ippolito. Di impatto emotivo forte Laviano nei panni di Teseo, col suo pastrano scuro, carico di un ruolo che il re-uomo non riesce a sostenere. Scene e costumi Vincenzo La Mendola Assistente alla regia Gabriella Caltabiano Lo spettacolo verrà replicato all’interno della rassegna “Teatro in Fortezza 2019” a Sperlinga (EN).