Fra topi, fionde e morbide bidelle
di Antonio Castronuovo di 28-07-2019
Nel fantasmagorico mondo che si chiama “scuola” può accadere di tutto, specie se chi lo descrive si cala nella geografia mentale del mattoide. Bisogna infatti essere mattoidi per riuscire a increspare l’acqua calma della palude del sempre-uguale, di ciò che si chiama “mondo globale” e di cui oggi agevolmente sentiamo la noia. Una noia mortale. Menomale che ci sono i mattoidi, come l’autore delle Professoresse meccaniche, collezione di racconti che rammassano situazioni le più bislacche, il cui solo filo rosso è quello del mondo scolastico: professoresse (anche meccaniche, come quelle del titolo), studenti, bidelle. Con un gesto di democratica ammissione sono repertoriati anche professori maschi, per quanto siamo indotti a ritenere che essi rivestano nella scuola ruolo minoritario.
Tra le cose che hanno vivacizzato la lettura di queste pagine c’è un grosso topo che, inseguito da uno studente, ha guadato un’aula andando a intanarsi sotto una montagnola di calcinacci. Ho assistito alla scena di una professoressa colpita da multiple coltellate, forse astratte, ma capaci di formare ampia pozza ematica. Ho visto che qualcuno è andato in classe con la fionda, l’amata fionda delle scorribande di cinquant’anni fa. Ho potuto visitare lo sgabuzzino delle bidelle: spazio ornato di capitelli corinzi picchettati di muffa, il che non toglie che esse dispensino morbidi sorrisi, e conoscendo più di una bidella posso testimoniare che le cose stanno proprio così. Ho anche assistito all’affliggente scena di un professore che dormiva talmente fondo da permettere a qualcuno di poggiargli due sassolini sulle palpebre.
Alla fine l’autore ci tiene a dichiarare che le figure narrate sono prodotti dell’immaginazione, benché egli abbia vissuto una «pur lunga e impegnativa esperienza nel mondo scolastico». Ecco, è sufficiente l’avversativa di quel ‘benché’ a svelarci che invece qui di immaginario c’è poco: la folle realtà narrata (invero più interessante della non-folle) è anche probabile si sia avverata, per cui, nell’osservazione dei protagonisti di questa avventura pedagogica, quel che s’è prodotto è una monografia di sociologia della scuola. Come infatti concionò Bufalino, il sociologo è colui che va alla partita di calcio ma guarda gli spettatori. Cosa che ha fatto Lentini: è entrato nella scuola e, invece di studiare la struttura, s’è soffermato sul brulichio delle figure.
Ricavandone anche perle di saggezza: «Arrivai in quella scuola che avrò avuto tre o quattro anni, ma non vi rimasi a lungo perché i bambini prodigio sono tali finché rimangono bambini». Ecco, tentiamo di restare bambini, e resteremo anche afferrati dal prodigio dell’irrealtà reale.
Alfonso Lentini, Le professoresse meccaniche, Roma 2019.