Con MrMcIntosh a passeggio per Dublino
Andrea Pagani, Il cammino di Bloom: sentieri simbolici nella Dublino di Joyce, Bologna, Pàtron editore, 2019
di Antonio Castronuovo* 04-07-2019
È superfluo girarci intorno: sappiamo bene quanto sia ostica la lettura dell’Ulisse di James Joyce. Al punto che chi scrive – pur sapendo di pronunciare un’eresia – afferma di trovare la saggistica dedicata al grande romanzo più gradevole del romanzo stesso. E in maniera avvolgente prende le mosse Il cammino di Bloom di Andrea Pagani, narratore italiano che si apre alla saggistica e ne trae un eccellente risultato, forse proprio per quel suo saper narrare che, alla fine, dona alle pagine il bel ductus di un racconto razionalmente illuminato.
Tutto accade il giovedì 16 giugno 1904, quando una figura misteriosa vagabonda per le strade di Dublino e profila la mappa letteraria dell’Ulisse di Joyce, lo stesso Joyce che – è noto – teneva costantemente aperta sul tavolo di scrittura la pianta di Dublino e creava i tragitti dei personaggi secondo una logica meticolosa quanto rigorosa. Il singolare personaggio è abbigliato con un macintosh marrone, e pertanto, per una sorta di bizzarro equivoco, alla figura viene assegnato il nome di MrMcIntosh.
Inizia così questo saggio, che ci prende per mano e, con pause misurate e rimandi sapienti, entra da una porticina segreta nel complesso ingranaggio del capolavoro joyciano e s’impegna subito in un’analisi dettagliata delle occorrenze testuali del grande romanzo, non rinunciando alle corrispondenze con altre opere di Joyce (Gente di Dublino e Dedalus, ovviamente, ma anche le sue lettere e il poemetto in prosa Giacomo Joyce).
Figura che si affaccia nel libro come fosse personaggio incidentale, il nostro MrMcIntosh instaura invece un decisivo rapporto con gli altri protagonisti dell’opera: Leopold Bloom, Molly Bloom e Stephen Dedalus. L’autore del saggio s’interroga – indovinando sempre i fulcri essenziali di quella che sempre più, pagina dopo pagina, assume i tratti di una detection ermeneutica – sull’identità dell’uomo e di chi lo attornia: ne segue gli spostamenti, i tragitti, ne analizza i punti di incrocio generatori di analogie, e ricostruisce insomma la toponomastica dell’Ulisse ben sapendo che ogni passo delle sue figure va a parare in un intimo contenuto simbolico.
Alla fine, abbiamo traversato un saggio che non risuona mai insipido, che reclama certamente un lettore diligente e attento (ma non era l’attenzione, per Cristina Campo, il segreto della comprensione del mondo e della plausibile redenzione gnostica?) e che tuttavia, svelando i diversi rapporti umani e letterari fra i personaggi, ci cala in un’ampia riflessione sulle ragioni profonde, che reggono il magnifico edificio dell’Ulisse.
*: fondatore della casa editrice Babbomorto