L’odore della preda. Nostalgia bibliofila in ‘Un principe si divertiva’ di Giovanni Biancardi, ed. Babbomorto
di Antonella Falco 01-06-2019
Bibliofilo. Propriamente, “colui che ama i libri”. Alla passione per la lettura unisce quella per il collezionismo, ponendo una speciale attenzione alle prime edizioni, alla raffinatezza della stampa e dei materiali, al formato e alla presenza di tavole illustrate, quali xilografie e acqueforti. Le rarità, poi, sono per lui fonte di veri e propri rapimenti estatici.
«Un prezioso – polveroso piacere – è –/ incontrare un Libro Antico», scriveva Emily Dickinson.
Lo sa bene Giovanni Biancardi, studioso di filologia e proprietario di una nota libreria antiquaria milanese, nonché editore di pregiati volumi a tiratura limitata per Il Muro di Tessa.
Proprio al mondo dei collezionisti e dei bibliofili è infatti dedicato il godibile racconto da poco uscito per le edizioni Babbomorto di Antonio Castronuovo, intitolato Un principe si divertiva (chiaro riferimento a Le roi s’amuse, il dramma di Victor Hugo, a cui Francesco Maria Piave e Giuseppe Verdi si ispirarono per il loro Rigoletto). Per chi non lo sapesse, la fiera di Sinigaglia è uno storico mercatino delle pulci – il più antico di Milano – originariamente ubicato lungo la Darsena, sotto viale Gabriele D’Annunzio. La fiera ogni sabato (ma inizialmente si teneva di domenica) espone merce di ogni genere: capi di abbigliamento usati ma anche nuovi, pelletteria, casalinghi e ferramenta, oggetti etnici, vinili rari e, appunto, libri antiquari. Per la sua natura, tale mercatino è da sempre il punto di ritrovo di una fauna di milanesi “alternativi” e freaks che qui trovano articoli e materiali ritenuti consoni al loro stile.
Qui, alzandosi all’alba, si recava ogni sabato il nostro autore, avendo intenzione di «comparire tra i primi clienti del Colombo, il robivecchi prediletto da librai e collezionisti». Colombo arrivava alla guida di un «asmatico e cigolante» furgone bianco, da cui scendeva iniziando a lanciare inviperite frecciate agli astanti, alcuni colpevoli, a suo modo di vedere, di avarizia, altri di pigrizia, altri ancora di ingordigia: un modo per render chiaro che non aveva preferenze per nessuno e che solo il più fulmineo e audace fra i presenti avrebbe potuto accaparrarsi i testi migliori, acquistandoli «sotto il naso degli altri».
«Il sommo sacerdote si doveva limitare all’ostensione delle sue reliquie, estraendole, una manciata dopo l’altra, dai cartoni sgangherati in cui, il giorno prima, le aveva stipate alla rinfusa». Anche il modo in cui gettava i libri sul banco rispondeva ad una prassi studiata: li lanciava, «diabolicamente», ora da un lato, ora dall’altro, obbligando i suoi clienti a reiterati e caotici spostamenti al fine di poterne afferrare almeno qualcuno. Era così che Colombo provava «l’ebbrezza di signoreggiare sul pollaio della bibliofilia». E signore, nel suo campo, Colombo lo era veramente, poiché non vi era rigattiere che esponesse una merce migliore della sua, per rarità e qualità dei libri. La sua clientela – la sua «corte» – era quanto di più variegato si potesse immaginare: raffinati collezionisti, distinti professori, avveduti esaminatori di quella merce preziosa, ma, anche, tipi bizzarri. D’altra parte, ogni corte che si rispetti ha il suo giullare. Stravagante nell’aspetto e ancora più strambo negli acquisti che faceva, il giullare di turno rispondeva al soprannome di Messer Enfisema, per via del suo modo di parlare faticoso e stridulo: il suo vero nome nessuno lo seppe mai, perché nessuno si prese la briga di domandarglielo. Ritardatario cronico, Messer Enfisema arrivava quando gli altri si erano già appropriati dei volumi migliori, ma questo non lo scoraggiava: se ne tornava sempre a casa curvo sotto il peso di «almeno due sporte» di libri di nessun valore: dizionari, manuali, guide turistiche, cataloghi e campionari, un’accozzaglia eterogenea di roba scadente che anche un collezionista di bocca buona avrebbe schifato.
Ora quel mondo non esiste più, «la fiera di Sinigaglia ha cambiato volto», non esistono più robivecchi come Colombo e balzani giullari come Enfisema, tutta quella corte di «valvassori e valvassini del libro» di fatto è scomparsa.
Limpido e scorrevole nella prosa, nostalgico quanto basta, il racconto di Biancardi ha il merito di riesumare quel mondo, rendendolo ancora vivo e palpitante agli occhi del lettore, che vi si sente catapultato. Quella ridda fantasmagorica di libri, quella multiforme umanità, restituiscono il ricordo genuino di una Milano popolare, sapida di vita rionale, anch’essa perduta nel vortice del tempo.
Del sentore di questo mondo scomparso e di questa dissolta «corte dei miracoli» è intrisa anche la pregevole Postfazione firmata da Edoardo Fontana (a cui si deve inoltre la rielaborazione grafica dell’immagine di copertina, tratta da una xilografia di Félix Vallotton, La rixe, del 1892), intitolata Alla ricerca dei compagni perduti. Nel suo stile colto e visionario, Fontana ci consegna la sua personale, trasfigurata, visione di «quel che resta della gloriosa Sinigaglia»: «Tocca a te, annusi l’aria e senti l’odore della preda. I libri, per lo più, continuano a cadere sui libri senza alcun suono, ma di tanto in tanto rimbalzano rumorosamente sul legno. All’unisono gli uomini – allora – si voltano, ti vedono, come lupi che fiutano il sangue si fanno più frenetici per anticiparti.
Imprigionato tra le mura dello scalo, assisti all’olocausto».