In viaggio verso la Certosa. La Compagnia delle Seggiole torna alla Biblioteca delle Oblate il 24, 25 e 31 maggio

In viaggio verso la Certosa

di Lucia Tempestini

FIRENZE – Suor Fulgenzia, la madre superiora, sbuca nel chiostro trecentesco uscendo dalle prime ombre della sera, preceduta dall’indignazione bonaria che le risuona nella voce a causa di un cesto pieno di biancheria abbandonato nell’orto. Quasi non si accorge dei presenti, infervorata com’è a biasimare l’atto di negligenza. Ma rapidamente il soliloquio diventa conversazione con gli spettatori, scambiati per consiglieri d’amministrazione dell’Arcispedale. Ci espone la mancanza di disciplina delle suore più giovani, che vanno nell’orto a rubare le albicocche, a meno che non vogliano addirittura rincorrere i conigli (!)

Sotto una luna alta e fumigosa come un’apparizione di Redon, la cui luce gocciola sulle foglie della magnolia cresciuta al centro del chiostro, Suor Fulgenzia prende a raccontarci affabile la storia dell’attuale Biblioteca delle Oblate. Siamo negli anni venti del Novecento, poco prima che le suore venissero trasferite a Careggi, nel nuovo ospedale cittadino appena costruito. Negli occhi di Fulgenzia trascorrono commozione e orgoglio mente evoca la figura del fondatore del primo nucleo ospedaliero fiorentino: Folco Portinari, nel 1285. Consigliato dalla nutrice Monna Tessa, così sensibile alla sorte degli ammalati da costituire una comunità di pie donne infermiere che presero, appunto, il nome di Oblate, svolgendo attività di assistenza alle malate nell’ospedale, completo di refettorio cucine dispensa e lavatoi, fin dalla sua inaugurazione. Gli uomini venivano invece ricoverati in un secondo edificio (Santa Maria Nuova), situato dalla parte opposta dell’area e unito al primo da un passaggio sotterraneo utilizzato dalle suore.

Nel tessuto della ricostruzione si innervano però, piano piano, ramificandosi in riverberi dell’iride, altri pensieri e umori. Comincia a parlare di sé Gina, divenuta Fulgenzia per volere della Madre Generale colpita tanti anni prima dai bei capelli biondi della ragazza. Ci confida con gaiezza l’origine contadina e la delusione provata dai genitori davanti al suo annuncio di voler diventare monaca, per giunta scegliendo un Ordine dedito alla cura dei malati, più terreno che celeste, che implicava una vita faticosa. In più, il padre considerava i religiosi tanti Fra’ Galdino manzoniani in cerca di limosine, e immaginare la figlia passare da una casa all’altra in umiliante accattonaggio di noci e altre minutaglie lo tramortiva di dolore.

Per la fanciulla avevano pensato al mestiere di modista, e si era dimostrata anche brava nell’arte del cucito (sapevo fare certi occhielli…dice compiaciuta). Ma sentiva la mancanza di qualcosa senza saperne ben definire la natura, che le si era rivelata durante una visita a Santa Maria Nuova al sor Agenore, il vicino di casa, infermatosi. Ecco ciò che desiderava, ciò che era, una persona che voleva compiersi nel dare sollievo alla sofferenza. Passano, nella voce e nello sguardo della suora rimasta la ragazza vivace di un tempo – e che del tempo accetta con umorismo i segni – quelle che sembrano sfumature lievissime di consapevolezza malinconica, di tempo, cose, persone fuggiti. E in queste tracce che, come le briciole di Pollicino, Sabrina Tinalli dissemina con sapienza d’antan, abbiamo per qualche istante la sensazione di ritrovare l’ombra perduta della grande Lina Volonghi.

Non finisce qui, il ritmo accelera ancora, si accendono i colori e i suoni di una struttura polifonica veloce e perfetta, un gioiello drammaturgico che Riccardo Ventrella ha cucito addosso alle attrici della Compagnia delle Seggiole. Su per le antiche scale, dal chiostro fino alla terrazza spalancata sul Duomo, veniamo trascinati da un allegretto irresistibile. Prima le due giovani Fernanda (Silvia Vettori, di cui come sempre spicca la garbata modernità dell’impostazione, l’inquietudine ironica e controllata sospesa sull’abisso assai attraente dell’allucinazione surreale) e Veronica (Beatrice Faldi) si confidano piccole ugge e fatiche di ogni giorno in un duetto goldoniano – i pomodoracci verminosi portati dal contadino, i dispetti infantili di Suor Elena, le battute eretiche della Signora Genoveffa che, a causa di un enfisema grave, fischia più di una locomotiva -. Poi Fernanda ci confessa sottovoce, illuminandosi tutta, di aver letto con grande piacere le novelle del Boccaccio, portate nel complesso ospedaliero da una cugina di Suor Venanzia.

Il godimento diventa vertiginoso quando insieme a Fernanda, Fulgenzia e Veronica raggiungiamo al piano superiore un’altra giovane suora (l’incantevole, freschissima Chiara Macinai) appena tornata da un avventuroso viaggio a San Casciano. La descrizione palpitante della partenza prima dell’alba su un carro traballante, del batticuore una volta superata Porta Romana – le colonne d’Ercole della fanciulla, che sente di varcare per la prima volta il confine di un mondo circoscritto -, della Certosa appena illuminata dall’aurora e, soprattutto, di un’automobile…oggetto dell’inferno però emozionante, ha un montaggio cinematografico che l’avvicina alla novella-capolavoro di Jane Austen Sanditon.

L’atto unico si conclude nella terrazza, il cielo si è fatto quasi nero, fra molte lenzuola bianche stese ad asciugare. In un angolo Suor Severa (Anna Collazzo) cuce o rammenda in raccoglimento, mentre Fulgenzia la invita piuttosto a raccogliere i lenzoli, visto che si sta facendo umidino. Ed è di Suor Severa l’accorato monologo finale. Di famiglia agiata, a differenza delle altre tutte di umili origini, ha dissipato la prima parte della sua vita svegliandosi in camere d’albergo vuote, ricoprendo d’angoscia lussi sfrenati, fino al momento in cui si è imbattuta nel senso della carità, che in questo caso si può tradurre come compatire, nel senso etimologico di partecipare, provando lo stesso dolore, all’altrui patimento.

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NON AVRA’ MAI FINE LA CARITA’

Le Oblate e la loro storia

Viaggio teatrale itinerante nella Biblioteca delle Oblate di Firenze

a cura della Biblioteca delle Oblate e della Compagnia delle Seggiole

testo di Riccardo Ventrella

regia di Sabrina Tinalli

costumi di Giancarlo Mancini

allestimenti di Daniele Nocciolini

con Sabrina Tinalli, Silvia Vettori, Chiara Macinai, Beatrice Faldi, Anna Collazzo