Il più personale dei piaceri. Qualche libro che potete regalare o regalarvi a Natale
Difficile scegliere nel ‘mare magnum’ della Biblioteca di Babele, quindi mi lascio guidare dai sentimenti, dall’inclinazione verso alcuni libri totemici ai quali periodicamente ritorno, trovandoli ogni volta nuovi.
Comincio da ‘Carmilla’ di Sheridan Le Fanu (1872), racconto lungo nel quale la languida vampira protagonista si innamora della giovane aristocratica Laura, avvolgendola nel suo fascino ambiguo e mutevole. Carmilla incarna l’attrazione verso un’oscurità che si fa esperienza iniziatica, il buio della carne che conduce alla scoperta di suggestioni immateriali. La concretezza illusoria del mondo che scorre via insieme al sangue, operando una trasformazione forse rischiosa ma senza dubbio piena di risonanze ancestrali. Preferibile l’edizione Marsilio per il testo originale a fronte, però anche Sellerio ha curato un’eccellente versione.
Chi non avesse mai letto ‘Giro di vite’ di Henry James (1898) si affretti, visto che si tratta di un capolavoro ineguagliato di sottigliezza psicologica. Fin dal titolo enigmatico, la storia sembra alludere a movimenti psichici ostinati. Il proprietario della tenuta di Bly assume Miss Giddens come istitutrice dei nipoti Miles e Flora. Nel momento stesso in cui la giovane varca il cancello di Bly, inizia un gioco di figure simmetriche e immagini riflesse (sulla superficie del lago, sui vetri delle finestre) che crea un’atmosfera d’inganno e duplicazione. Miss Giddens viene a poco a poco a conoscenza della relazione che legava la precedente istitutrice Miss Jessel a Quint, il cameriere personale del padrone di casa, e questa storia si impadronisce della sua mente come un veleno ad azione lenta. Quint è morto per un incidente (con la testa spaccata e gli occhi aperti), Jessel si è suicidata per il peso del dolore annegandosi nel lago. Miss Giddens, inseguita in ogni corridoio dai sussurri e dalle brevi risate dei due amanti e dai singhiozzi luttuosi di Jessel, inscena, produce il loro ritorno.
Le presenze, che in vita intessevano un legame ambiguo con i due fanciulli, cominciano a manifestarsi e Miss Giddens sembra temere per l’integrità interiore di Miles e Flora. Prende avvio un serrato duello verbale quotidiano fra la donna e i due ragazzi – bellissimi, sfuggenti, inverosimilmente compiti, impenetrabilmente dolci -; ogni frase pare munita di un doppio fondo. L’istitutrice assimila i revenants, che lei stessa evoca, per nutrirsi della loro passione carnale, allestendo nello stesso tempo una contrapposizione purificatrice cui né Miles né Flora credono. Straordinaria la traduzione di Fausta Cialente per Einaudi, ma imperdibile l’analisi di Franco Cordelli che introduce l’edizione Garzanti.
Altro suggerimento potrebbe essere ‘La donna in bianco’ di Wilkie Collins (ed. Fazi), uscito a puntate nel 1859-60 sulla rivista di Charles Dickens All the Year Round e clamoroso successo dell’epoca. Impossibile, e crudele, riassumere le 750 pagine fitte di intrighi, apparizioni e sparizioni, delitti e scambi di identità. Iniziatelo e non riuscirete a fermarvi. I protagonisti appaiono un po’ inconsistenti, però vi imbatterete in due dei personaggi più riusciti della letteratura di ogni tempo: la femminista ante litteram con accentuate sfumature saffiche Marian Halcombe, che servì a Dickens da modello per la giovane Helena de ‘Il mistero di Edwin Drood’ (1870), rimasto purtroppo incompiuto e tradotto in modo magistrale da Fruttero & Lucentini per Einaudi (La verità sul caso D.), e il Conte Fosco, prosperoso e cinguettante Malvagio osservato da Collins col grandangolo di cui parla Virginia Woolf in ‘Moments of being’ (a proposito, della grande Virginia leggete il romanzo meno noto e più ironico ‘Tra un atto e l’altro’ – ed. Nottetempo -, divertissement colto e piacevole e omaggio di suprema leggerezza al teatro elisabettiano). Il Conte vi apparirà come il precursore del surrealismo combinatorio ed elusivo di Carroll, un Gatto del Cheshire elevato all’ennesima potenza.
E scoprirete uno Stevenson sorprendente ne ‘Il principe Otto’ (ed. Nottetempo), novella quasi mitteleuropea e commedia sofisticata alla Lubitsch ambientata nell’irreale principato germanico di Grünewald.
Ormai quasi introvabili le ‘Storie di fantasmi’ di Edith Wharton (ed. Newton Compton). Il volume contiene alcune piccole gemme come Il campanello della cameriera, Ognissanti e, soprattutto, quella magistrale variazione musicale sul tema dei piani temporali ed esistenziali incrociati che è Dopo. Nel racconto la Wharton utilizza una forma ellittica che, attraverso rivelazioni parziali e ipotesi fuorvianti, mostra come la natura nascosta dei fenomeni si riveli soltanto più tardi, a volte a distanza di anni, lasciandoci annichiliti nel momento in cui manifesta la sua forma vertiginosa e fatale.
Un giorno, forse, a Patricia Highsmith sarà resa giustizia, e la si citerà come uno dei massimi narratori del Novecento, superiore, a mio parere, a Simenon. Tormentata, ruvida per eccesso di fragilità, ossessionata dal Doppio e dall’Assassino che si nasconde in ognuno di noi, attratta da un ideale femminile che puntualmente sfugge alla presa e delude, misantropa fino a isolarsi, nell’ultimo periodo della vita, in una casetta persa fra i boschi nel cantone dei Grigioni, ha scritto romanzi dominati dall’inquietudine e dal senso di minaccia. Il destino di Ripley in particolare, alter ego di cui avrebbe potuto dire, parafrasando Flaubert, Tom c’est moi, appare determinato dal Caso e dalla sostanza dell’Ombra. Fra i molti, vorrei citare ‘L’amico americano’ (1974), appena ripubblicato da La Nave di Teseo.
Concludo con una nuova uscita Adelphi non ancora segnalata da ‘Scénario’: ‘Paranoia’ di Shirley Jackson (2015, postumo). Conferenze, prose, racconti di un’altra maestra di cerimonie dell’angoscia contemporanea.