Teatro Tordinona di Roma
BEATRICE RISPONDE A DANTE PER LE “RIME”
Scritto e diretto da Enrico Bernard
Interpretato da Melania Fiore
Con la partecipazione (in voce) di Aldo E. Castellani
Direzione tecnica e organizzativa Riccardo Santini
Enterprise Multimedia
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Mettere in scena in misura esaustiva e senziente una (inusitata) “conversazione” di Beatrice con Dante, usando per giunta (con divertito manierismo) un poetare metrico reinventato, significa possedere l’allenata arguzia di uno scrittore di talento come lo è Enrico Bernard, che trova il suo spunto nel mettere in ridicolo la (raf) figurazione della donna angelicata dello Stilnovo, evidenziando una serie di esilaranti notazioni poetiche suscettibili di umorismo e caustica ironia.
Il dialogo (provocatorio) “sotto forma di saggio”, come ama definirlo l’autore, è svolto dall’attrice Melania Fiore, qui nelle vesti di una sensuale Beatrice terrena che, in conflitto declinato al femminile, sa confutare in rima i singoli, convenzionali elementi della “creatività al maschile” aleggianti mediante l’ eterea voce registrata di Aldo Emanuele Castellani nel ruolo di Dante.
Aboliti gli schemi precostituiti inerenti le doti spirituali dell’ideale femminile (<< Questa non è femmina, anzi è uno dei bellissimi angeli del cielo >> idealizzati da un linguaggio toscano stilnovizzato per celia) l’autore Bernard, racconta, nella convenzione dello spirito del divertissement, ogni aspetto del vivere quotidiano, nella sua minimale ‘ri’ o ‘irrilevanza’, dando ampio spazio (e iniziativa) all’espressività estetico-vocale della versatile Melania Fiore.
Che da attrice ed artista esperta (per lunga militanza) padroneggiante la scena anche in ragione della “voglia di raccontarsi”, quindi elargire, esternare in (e al) pubblico le “emozioni terrene” attraverso la “duale” prismaticità dell’eros, allorchè la donna – specchio dell’uomo e delle sue passioni, ma anche elemento rivelatore dei misteriosi meccanismi che regnano nell’intimo – diviene il tema stesso del materializzarsi dell’immaginario femminile, connotato da un inedito senso dell’ humour, perturbante e destabilizzante quando è rivolto all’uomo (più o meno Alfa).
Nell’amabile saggio-spettacolo di Bernard la figura di Beatrice, attraverso la brillante interpretazione della Fiore, è quella di una creatura libera ed “anarchica” nel formulare severi giudizi critici. La sua forza dirompente è densa di furiosa eccitazione cromatica: scuote, diverte, stimola in quanto “impone” il ruolo dell’essere donna, soprattutto nell’impegno di un’esistenza emancipata, rivendicando a sé la prerogativa di sottrarre l’opera di Dante ai rétori scolastici, agli striscianti filologi e pseudobiografi, agli invasati della poesia passatista e patetica degli amori in versi.
Ovvero, far cadere molti pregiudizi anacronistici, deleteri e avariati che nel passato avversavano l’universo femminile sottoposto ad una ossessiva, ‘virile’ saggezza. Tra i tanti pregiudizi dominava impavido, e come è noto, ciò che etichettava la donna a figura retorica: massaia, madre, moglie, educatrice, donna angelicata, relegandola in un girone di moralità atavica inferiore all’esercizio di una professionalità creativa o direttiva.
Per fortuna (e invece), Melania Fiore “occupa” il palcoscenico quale luogo tonificante di sensazioni rapide, illuminazioni alogiche, stimolazioni folgoranti, soprattutto ammalianti.
Al cui “servigio” plana quasi impalpabile il dialogo/monologante di Bernard, sotto forma di rimario tortuoso curiosamente “infedele”, scaturito –a sua volta- dalla fedeltà critico/filologica di un testo consistente nell’ esercizio del ri-trascrivere, con debito distacco, le belle rime a vantaggio del gusto di recitare “ …con le rime” che ciascuno si merita.
Un componimento che aspira, quindi, ad un ritorno del teatro comico-jullare nell’alveo della letteratura in cui i quadri scenici sono subordinati alla struttura del testo: attuando, l’autore, una istanza di controllo indiretto, di supervisione scenica della situazione realizzata dall’attrice: <<… Dante è uno che trascrive, che traduce… se ne sta tutto incurvato, nella posa del copista, mentre sbircia timoroso l’originale codice miniato >>
Un teatro che è inoltre “imitatio poetica” (amabilmente parodistica) del linguaggio dantesco, in quel rapporto strettissimo che appassione Bernard nell’ inventare le battute cui Melania che risponde con le suddette ‘rime’ a Dante: “ Tanto gentile e tanto onesta pare…” Pare? O se vogliamo “appare?” o sembra? Si mostra?
<<E’, oppure non è?>> considera stupita con “petulante foga fiorentina” Melania/Beatrice, evidenziando l’incipit di uno dei più noti sonetti di Dante Alighieri che si trova nella “Vita nova”. In quella dimensione “ambigua” tra vita e arte poetica (plausibile per ‘questa’ Beatrice), che si presenta in domestica dimensione: conciata da donna di casa mentre stira i panni in grembiule e ciabatte, intrisa d’inspirazioni ed espirazioni di desideri reconditi che indugiano in pleonastici slanci di amori mancati.
Lo spettacolo, al dunque, è giocato con apparente leggerezza e giocosa provocazione, scaturita da un’identità (prettamente femminile) di ilare introspezione e di sbalordimento dinanzi al materializzarsi dell’immaginario dantesco.
La platea sta al giuoco di questo sfizioso “teatro da camera”, dove il linguaggio si fa “palcoscenico delle sensazioni”, al confine tra il sacro e il profano, tra il ragionevole e l’assurdo d’una frottola goliardica.
Per una riscrittura maliziosa e smaliziata che rende attuale il personaggio Beatrice, non più donna in clausura, inarrivabile, evanescente spirito beato, bensì incarnazione d’una femmina contemporanea in piena nevrosi, la quale anatomizza il proprio mancato amore con il poeta, contestandogli d’averla trascurata per legarsi carnalmente ad altre donne, mentre, a Lei, ha dedicato criptati pensieri d’amor ‘cortese’.
Fra “estraniante” senso della vita ed eleborata finzione della medesima giungono, infine, gli applausi –complici e soddisfatti- di un pubblico numeroso e partecipe.
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