La libertà di non esistere. ‘La bisbetica domata’ di Shakespeare, al Teatro di Rifredi
adattamento e traduzione Angela Demattè
regia Andrea Chiodi
con Angelo Di Genio, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Igor Horvat,
Christian La Rosa, Walter Rizzuto, Rocco Schira, Massimiliano Zampetti
scene Matteo Patrucco | costumi Ilaria Ariemme
musiche originali Zeno Gabaglio | disegno luci Marco Grisa
FIRENZE – La bisbetica domata diretta da Andrea Chiodi non differisce dal testo originale di William Shakespeare e inizia con il racconto in forma di fiaba dell’ubriacone Cristopher Sly, qua chiamato Smalizia, addormentatosi in mezzo al bosco. Questo gentiluomo – una volta sveglio – viene convinto di essere un ricco Signore e di aver dunque sognato, durante un sonno troppo lungo, la sua esistenza miserevole. Cristopher Sly e una parte della Corte si dilettano con lo spettacolo di una piccola compagnia di teatranti dal titolo “La bisbetica domata”.
Il contenuto della storia si sostanzia con la descrizione della vita del facoltoso Signor Battista Minola, di Padova, padre di due figlie. Caterina, la maggiore, con un carattere davvero terribile. Bianca, la minore, amata e desiderata da tutti per via dell’indole delicata e arrendevole. Caterina, interpretata da Tindaro Granata, non ha nessun pretendente, vista la sua riottosità, mentre Bianca, rappresentata da Rocco Schira, ha ben due spasimanti, Gremio e Ortensio. Il padre per vedere sistemate ambedue le figlie decreta di tenere nascosta Bianca fino a quando la primogenita non troverà marito.
L’arrivo di Petruccio, amico di Ortensio giunto a Padova in cerca di un futuro migliore – che solo una moglie di buona famiglia riesce a garantirgli, è la soluzione per gli interessi di Gremio e Ortensio. Intanto Lucenzio, anch’esso innamorato di Bianca, prende il ruolo del suo servo Tranio per interpretare uno dei maestri di Bianca. Stessa cosa farà Ortensio pur di stare vicino all’amata. Petruccio, nonostante la sua grettezza, trova la chiave per domare Caterina trattandola con la medesima moneta usata dalla ragazza.
Giungono velocemente le insperate nozze di Petruccio e Caterina, e la condizione femminile in epoca elisabettiana mostra ogni infelice e realistica sfaccettatura. Il dovere dell’obbedienza, l’assoluta mancanza di rispetto per l’opinione del genere femminile, indubbiamente ostentata nell’opera, non sono poi così distanti dagli stereotipi di anni più vicini a noi. Si evince la brutale inflessibilità dei tempi in cui le famiglie, fossero nobili o borghesi, pianificavano ogni momento della vita delle figlie affinché queste diventassero delle brave mogli, consentendo loro di essere moderatamente istruite, beneducate e orientate al culto della religione, con una dote garantita per il futuro sposo. E se matrimonio non era, allora le aspettava il convento.
La rappresentazione scenica di Chiodi, con un cast tutto maschile come accadeva in passato fino al XVII° secolo, si snoda in un continuo agone affabulatorio, durante il quale il gioco dei vocaboli e del loro significato è la vera sfida tra gli interpreti e diventa l’unico arredo presente sul palcoscenico.
Tindaro Granata abbraccia il personaggio di Caterina senza distaccarsi, quasi fino alla fine, dalla sua morfologia maschile: il vestiario, la voce, i modi rudi, le posture. Femmina diventerà quando vedrà il sole splendere, per poi dover ammettere che si trattava di una luna dimenticatasi di andare a dormire.
Breve nota a margine: è insopprimibile il desiderio di citare il finale del saggio di Virginia Woolf ‘La vera storia della sorella di Shakespeare’, contenuto nel celebre ‘Una stanza tutta per sé’ (l.t.).
Non aveva nessuna possibilità di trovare qualcuno disposto a insegnarle il mestiere. Come avrebbe potuto andare a cena in una taverna o gironzolare per le strade a mezzanotte? Ciononostante, il suo genio era volto alla letteratura e bramava nutrirsi abbondantemente delle vicende di uomini e donne, osservare i loro modi. Infine, dato che era molto giovane e dai lineamenti stranamente simili a Shakespeare, il poeta, con quegli occhi grigi e sopracciglia arrotondate, ecco che Nick Greene, l’agente teatrale, fu impietosito dalla sua situazione; si ritrovò con un bambino in grembo grazie a quel gentiluomo e così – come misurare la violenta passione del cuore di un poeta imprigionato e rinchiuso nel corpo di una donna? – si uccise durante una notte d’inverno e giace sepolta a un certo incrocio, lì dove ora gli autobus si fermano nei pressi di Elephant and Castle.