La ‘giornata particolare’ di casa Gori al Teatro di Rifredi, con Alessandro Benvenuti
FIRENZE – Benvenuti in casa Gori forever, in questo caso presentato nell’edizione preziosa che vede Alessandro Benvenuti interprete di tutti i noti personaggi presenti nella versione cinematografica. Uno per tutti e tutti in uno. La scenografia in questa rappresentazione non conta, è essenziale, buia e priva di musica. Solo un occhio di bue illumina la figura dell’attore solista, paradossalmente in grado di disorientare e coinvolgere il pubblico grazie alla totale assenza di movimenti di scena, che esalta i cambi di tono e vocalità repentini. Nessuna cantoria, nessun contesto…
E’ indubbia la scelta di dare nuova vita alla trama di Casa Gori, e la metamorfosi della forma corale in esecuzione da camera accentua gli elementi esilaranti dei piccoli drammi che si consumano nel corso di una giornata particolare e intima come quella di Natale, all’interno di una famiglia comune. Assistiamo alla storia come se vivessimo una seduta terapeutica e risulta impossibile non riconoscersi nei vari ‘caratteri’ che, con autoironia e sorrisi dalle molte sfumature, dispensati con maestria da Alessandro Benvenuti, si presentano nella loro essenza quotidiana.
Il monologo pervade di sé l’ascoltatore, diventando un’emozione rara, un vero e proprio viaggio teatrale, che va oltre ogni aspettativa. Il regista Benvenuti qua si svela, si apre con sorprendente camaleontismo alla rammemorazione, recupera e presenta un passato comune, assumendo l’identità di ognuna delle figure che fanno parte di questo catalogo di ‘buffi’ cui sentiamo di appartenere.
E così la famiglia Gori, in attesa dell’Urbi et orbi, passa dalla complicata gestione dei problemi senili di nonno Annibale, reduce della Grande Guerra e costretto su una sedia a rotelle, alla scoperta della gravidanza di Cinzia – fidanzata di Danilo –, dal cappone arrosto con le patate al cortocircuito che fa esplodere l’albero di Natale, dal battibecchìo di Bruna e Adele e dei relativi mariti alla piccola Samantha che oltre ad “otto” non sa dire, fino all’urlo finale liberatorio, che conclude uno spettacolo mozzafiato di impareggiabile virtuosismo.