La perversa ed eterna mercificazione femminile. ‘Immacolata Concezione’ al Teatro di Rifredi
FIRENZE – Una rappresentazione che unisce il sacro al profano e – come spesso accade – ci conduce alla fine lasciandoci il lecito dubbio sull’esistenza di una reale linea di confine fra l’uno e l’altro.
Una corsa nel tempo e con il tempo a scrutare la condizione femminile, i suoi tracciati, le relative distanze e i pregiudizi. Più precisamente una corsa che parte fisicamente dalla sala buia del teatro, un’oscurità dove si allarga e si affina la luce invisibile della percezione, che investe e accoglie ciò che resta di una donna dopo i maltrattamenti subiti.
La protagonista è Concetta, venduta dal padre quale ultimo suo avere dopo aver perso tutte le capre a causa della peste. Viene lavata, scrutata e esaminata esattamente come se si trattasse di un capo di bestiame portato dal veterinario (o anche peggio), al fine ultimo di essere relegata in un bordello per diventare una delle Signorine che abitano la casa.
Concetta è ignara di ciò che l’aspetta, perché oltre alle poche parole, molte in un dialetto indecifrabile ai più, sa solo fischiare, tanto è vero che l’unico richiamo che conosce è il fischio imparato fin da bambina, utilizzato dal padre per richiamare le capre e forse per richiamare anche lei.
La “Signorina” è molto richiesta e tutti in paese non vogliono altro che lei, per motivi che appaiono incomprensibili alle altre. La grande attenzione riversata su di lei fa sì che le colleghe facciano di tutto per deriderla e per renderle la vita difficile, non capendo assolutamente che la vera dote di Concetta non è nelle sue arti a letto ma viene dal cuore, un cuore puro e candido che potrebbe essere assimilato a quello dell’agnello divino. E’ impossibile non ricordare la canzone di Andrè “Bocca di Rosa”, nella quale viene descritto l’arrivo di una prostituta, che porta la primavera più che i piaceri sessuali.
Stimolante, intrigante e avvincente è l’introduzione e presentazione del catalogo di uomini che le si avvicina. Padre Gioacchino, che prega per la purezza dell’anima e per i peccati dell’umanità, Don Saro, padrone del paese, che finisce per innamorarsi della nuova arrivata ma che racconta agli altri che è solo una sua proprietà e Salvatore – detto Turi – che incarnerà l’amore e la passione. Ognuno di loro rilascia quell’amara ipocrisia che contraddistingue il genere maschile, di ogni ordine e grado e di qualsiasi livello sociale. La vera protagonista è la triste mercificazione del corpo della donna ad uso e consumo dell’uomo, unitamente a quella forma di falsa educazione dove l’apparire non va mai a braccetto con il sentire.
Una rappresentazione che all’inizio sottolinea la mortificazione della figura muliebre, argomentando in maniera significativa l’involuzione culturale, che è sotto gli occhi di tutti, e il relativo rischio che i progressi e le conquiste ottenute in passato vengano meno, non solo nell’ideale comune, bensì nel nostro vivere quotidiano entro il quale si è insinuata, per molte ragioni, una visione della donna e del suo ruolo, che si traduce in perdita di dignità, purtroppo anche a causa delle donne stesse.
La conclusione ci abbraccia con un finale drammatico, che riabilita Concetta tramutandola e santificandola in “Immacolata Concezione”, dedicando così lo spettacolo – suo tramite – a tutte quelle donne nascoste da un burqa, da un’ossessione chirurgica, o a quelle donne invisibili, stuprate, vessate, invecchiate, umiliate da una società che stenta a decollare.
IMMACOLATA CONCEZIONE
una creazione Vuccirìa Teatro
drammaturgia e regia Joele Anastasi
da un’idea di Federica Carruba Toscano
con Federica Carruba Toscano, Alessandro Lui
Enrico Sortino, Joele Anastasi, Ivano Picciallo
scene e costumi Giulio Villaggio – light designer Martin Palma
FONDAZIONE TEATRO DI NAPOLI – TEATRO BELLINI