ARTE ACCIDENTATA
L’Attico, Galleria d’arte di Fabio Sargentini
Roma, via del paradiso 41
info@fabiosargentini.it
tel.06 6869846.
Autore del progetto espositivo: Fabio Sargentini. opere di: Luigi Ontani, Luca Patella, Claudio
Palmieri, Giancarlo Limoni, Stefano Di Stasio, Miki Garone, Paolo Fabiani.
ROMA – “Arte Accidentata” ovvero lo stupore di vedere esposte nella Galleria d’Arte l’Attico di Roma compiute opere d’arte, rovinate fortuitamente senza ragione apparente o in modo imprevisto. Queste le linee guida della mostra architettata dallo stratega Sargentini che intende riassumere la concettualità verso ogni trauma che, nel tempo, le opere d’arte possano subire. Per portare avanti questa tesi crea ancora una volta (come del resto accadeva già negli anni ’70) uno «choc» espositivo quale vero e proprio format di notizie dal successo virale assicurato. Per una Galleria di arte contemporanea, come lo è L’Attico, rimanere presente sulla scena dell’arte per più di cinquant’anni anni è già un risultato notevole. Una dimostrazione di continuità e d’impegno soprattutto quando il gallerista, con i propri artisti, appartiene al mondo della ricerca e della sperimentazione di materiali e linguaggi – a volte incomprensibili al grande pubblico – che solo lui e gli artisti sanno interpretare, conoscere, approfondire. Le mostre realizzate da Sargentini esprimono fortissima contemporaneità riguardo la memoria artistica che, con il trascorrere degli anni, è argomento di soggetto storico, dove i diversi spazi espositivi agiti e vissuti nel tempo dalla galleria L’Attico hanno fornito contenuti importanti. La creatività di Sargentini scaturisce dallo scambio sinergico con gli artisti della propria scuderia promuovendo nell’arte contemporanea un ricchissimo serbatoio di produzioni formali che possano offrire nuovi modi di vedere, di sentire e di fare esperienza, sia attraverso la produzione di opere linguisticamente formali, sia nelle opere formalmente destrutturate. Per cui, nonostante la sua complessità, il panorama dell’arte odierna è continuamente ricco di ulteriori possibilità espressive. Gli artisti offrono diversi modi di mettere in forma l’ambiguità, ossia continui tentativi di dare forma alla probabilità e all’indeterminazione. Le opere contemporanee, alcune figlie delle poetiche di neoavanguardia, consentono una molteplicità di letture, di creare nuove forme e, parallelamente, apportare valori “altri” nella cultura.
La Mostra.
Nella serata d’ inaugurazione, venerdì 15 marzo, alle ore 19, le sale della galleria sono stracolme di visitatori, personaggi della cultura romana, con artisti e collezionisti assiepati a discettare sui “malanni” di quei quadri realizzati negli anni 1960/’70/’80/’90. Balza in tutta evidenza l’ambiente della sala grande, luogo testimone di uno “sconquasso” con quell’ottocentesco controsoffitto dipinto crollato rovinosamente. Superato il momento di fascinazione e sorpresa ho cominciato ad annotare i più disparati raggruppamenti di giudizi. Il campo di indagine verteva nelle relazioni tra l’artista e l’opera, e tra l’opera e noi fruitori. Mentre la memoria artistico/letteraria rimandava ad una sorta di “faustiano patto” grazie al quale gli artisti sembra rimangono eternamente giovanili mentre i loro quadri esposti, mostrano i danni dovuti a fatti accidentali. E tra i presenti c’è chi vi legge , in tale operazione, un retroterra simbolico che non può non interessare un coinvolgimento sostanziale metaforico e allusivo in cui un sottile humour scaturisce sia dalle opere sia da chi le commenta con la fragranza di un ironico racconto esistenziale. Per essere esauriente nel descrivere la mostra, continuo a scrivere questo servizio sotto forma di “intervista capziosa” a Fabio Sargentini.
Domanda. Chi si interessa di arte contemporanea, grazie a Marcel Duchamp, credo sappia praticamente abbastanza. La mia domanda, peraltro giustificata, riguarda quegli aspetti di “stravagante/ espositiva/creatività” in cui ci si trova a sguazzare, quando molti confini storicizzati delle “vicende” dell’arte contemporanea sono da tempo superati. Alludo al “Nichilismo estetico di matrice dadaista” in quanto Duchamp amava con ironia inserire anche la casualità di accadimenti che riguardavano le sue opere.
Risposta. Credo che il caso possa aggiungere senso o addirittura poesia ad un’opera d’arte in sé compiuta concettualmente e formalmente. Tale quesito, possiamo riallacciarlo all’accadimento rovinoso subìto dal dipinto il “Grande Vetro” per mano del fato, Marcel Duchamp, decretò che les craquelures, le fenditure intervenute, anziché violentarla, arricchivano l’opera di vissuto.
Domanda. Nella tua trascorsa esperienza di gallerista l’accadimento rovinoso più eclatante credo sia stato la “riverniciatura” della vecchia porta – dello studio di Duchamp – esposta nel padiglione Italia, strategicamente installata in posizione d’angolo fra due locali. L’allestimento era così realistico che ha tratto in inganno i pittori che stavano dipingendo il padiglione nei giorni frenetici della vigilia, se ben ricordo, alla Biennale d’Arte veneziana del 1978; e che, di fronte a quella vecchia storica porta in legno, non hanno avuto dubbi nel decidere che occorreva subito “malauguratamente” ritinteggiarla.
Risposta. Si, fu proprio un accadimento rovinoso! Ho impressa a fuoco nella mia pelle l’avventura di quell’ opera di Duchamp, allora in mio possesso, presa di mira dal caso, e cioè Porte, 11 Rue Larrey, riverniciata per errore alla Biennale di Venezia nel 1978, conosco già il dilemma. Come comportarmi davanti ad un’opera che era costata una fortuna per le mie tasche ed ora appariva mutilata nel titolo e nella firma apposte sullo stipite della porta? Confesso che all’epoca non ebbi dubbi. D’altronde non ero l’autore, soltanto Duchamp vivente avrebbe potuto pronunciare la parola definitiva. Senza incertezze optai per il restauro. Ebbene, dopo anni, estraendo dalla cassa la porta restaurata per esporla, non dovetti constatare che il restauro era evaporato? Il caso, in tutta evidenza, aveva voluto averla vinta. E stato allora che ho alzato bandiera bianca.
Domanda. Come scaturisce l’idea di realizzare questa insolita, curiosa mostra?
Risposta. Questa mostra dal titolo “Arte Accidentata” scaturisce da alcune bizzarre casualità concomitanti che hanno dato senso a degli accadimenti che è d’obbligo riassumere: Alcuni mesi fa le mie assistenti ed io, entrando in galleria, ci siamo trovati davanti ad una scena apocalittica, degna di un set cinematografico o di una scenografia teatrale. Cos’era successo? In una delle sale, la più ampia e migliore di tutte, gran parte dell’antica tela decorativa del controsoffitto si era lacerata e brandelli di pittura penzolavano dall’alto, straziati e minacciosi. Mi chiedevo, per quale arcano caso, periodicamente torna a battere un colpo nelle mie vicende artistiche? Lì per lì l’ho pensato, ma non ne ho afferrato al volo la portata, lo scopo recondito. E cioè che fosse lo stesso spazio espositivo di via del Paradiso ( forse geloso del garage di via Beccaria, appena ospitato con le gigantografie nella trascorsa mostra L’Attico dentro L’Attico ), a proporsi lui stavolta come soggetto principe di una mostra su misura. Alla fine ho rotto gli indugi e incaricato Claudio Di Giambattista, restauratore di cui mi fido, di mettere in sicurezza il controsoffitto.
Domanda. Analizzando i tuoi antecedenti psicologici, rintracciabili alla base del tuo progetto, e facendo di ogni artista un caso “clinico” e di alcuni loro quadri una “malattia”, quali le motivazioni di scelta su questo visionario lavoro?
Risposta. A distanza di qualche settimana si sono verificati in sequenza due episodi che mi hanno fatto pensare. Scivolando banalmente a terra in galleria va in frantumi il vetro di un nudo incorniciato di Luigi Ontani, il testimone del 1975, insolitamente sensuale. Lo esamino da vicino: il quadro è salvo. Forse è anche impreziosito con quei graffi dovuti alle schegge sul corpo illibato… Non molto tempo dopo, nel magazzino di campagna, scopro che un dipinto di Giancarlo Limoni, Torsione del 1989 è stato aggredito da un topo ed ora presenta un buco grosso come una casa, dove spicca in bella vista l’impronta potente dei denti del roditore… Come potevo ignorare il collegamento tra il collasso del controsoffitto e queste ultime vicende? L’idea della mostra si è affacciata nitida nella mia mente snebbiata. Non ho perso tempo un minuto di più. Sono corso da Di Giambattista in piedi su una scala, alle prese con l’ultimo squarcio del controsoffitto non ancora richiuso, e gli ho intimato: “ fermati ! ”
E’ iniziata da quel momento la caccia ad altre opere accidentate. Claudio Palmieri ne ha rinvenuta una nel suo studio. Albero verde del 2017, squarciata come se qualcuno con un machete si fosse aperto il passo nel fitto di una boscaglia… Sul quadro fotografico di Luca Patella, Piazza di Spagna del 1967, erano colate, come sull’asfalto, delle macchie nere, misteriose, che gli conferivano una inaspettata drammaticità… Nello spazio tutto bianco del dipinto Senza Titolo del 1990 di Paolo Fabiani, dove fluttua una vegetazione evanescente, all’ultimo respiro, era emersa una crepa dolorosa… Un corpo contundente imprecisato doveva aver colpito il quadro di Stefano Di Stasio, Assolo, del 2010. Un nudo, come quello di Ontani, ferito, ma non a morte… Dal canto suo Miki Carone ha scovato nel suo studio un’opera, Made in China del 2010, un piccolo Buddha con in mano un telefono cellulare, che presenta un foro netto, circolare, in curiosa sintonia col formato ovale del quadro… Soltanto durante l’allestimento mi rendo conto che Il Testimone di Ontani, in posa michelangiolesca, lo sguardo rivolto all’insù, si combina perfettamente con lo squarcio rimasto aperto del controsoffitto. Sono sbalordito. E’ come se si fossero chiamati, dati all’appuntamento. Alzo anch’io gli occhi al cielo. Che lassù qualcuno ci ami?
“Arte Accidentata” Mostra ideata, curata, introdotta dal gallerista, performer, regista e scrittore italiano.
La mostra che durerà fino alla pausa estiva espone opere di Ontani, Patella, Palmieri, Limoni, Di Stasio, Carone Fabiani. L’attico. Via del Paradiso 41. Ingresso libero. Tel. 06 6869846.