Donne e periferie. Conferenza spettacolo di Michela Murgia al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma
ROMA – La periferia a cui allude il titolo non è una connotazione geografica ma si riferisce alla condizione delle donne, relegate per millenni lontane dal centro, dove avveniva la vita politica e sociale.
Michela Murgia comincia la sua conferenza/spettacolo con una considerazione semplice quasi lapalissiana, che però ad alcune persone risulta ancora poco chiara. La parola “femminicidio” non indica il sesso della morta ma si riferisce al motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne.
Un altro aspetto indicativo di cui parla Murgia è che se tutti gli omicidi in Italia negli ultimi anni registrano un calo, solo i femminicidi sono stabili. Questo vuol dire che contrariamente a quanto vuole far credere la narrazione politica contemporanea, la violenza maschile contro le donne non è un problema di sicurezza ma culturale. Non basta nemmeno fare leggi più aspre per chi commette femminicidio (nonostante siano ben gradite) ma occorre agire nella percezione che gli uomini hanno di loro. Perché nella visione “normale” prodotta dal patriarcato l’uomo, fin da ragazzo o addirittura da bambino, è abituato a pensare di poter disporre della donna come un oggetto di sua proprietà. Murgia a questo proposito ha mostrato alcune pubblicità agghiaccianti, che si potevano vedere in tv o sui cartelloni per strada, fino a poco tempo fa. In tutte ricorre un elemento comune: quello di fare un parallelo tra la merce venduta e il corpo della donna. In alcune pubblicità non si vede nemmeno più il prodotto, come se per analogia diventasse il seno o il sedere della donna (perché quasi sempre questa pulsione scopica riguarda pezzi di corpo).
Allo stesso modo ci sarebbe da riformare la percezione che le donne hanno di loro, che le porta ad identificarsi con un soggetto passivo, poco competitivo e votato alla sopportazione. Murgia ha fatto riferimento alla sindrome “della Bella e la Bestia”, che riguarda quelle donne che rimangono vicine al loro uomo violento, non solo perché spaventate ma perché convinte di essere le uniche a poterlo “calmare”, come se fosse la loro missione di vita. Alle donne infatti si insegna fin da bambine ad essere amorevoli e piene di cura verso il fratello o il compagno di classe più vivace ed aggressivo. Murgia come esempio ha citato la saga letteraria e cinematografica di Twilight che purtroppo ripropone, in chiava moderna, questo stereotipo.
La scrittrice alla fine della serata, durante il vivace dibattito con il pubblico, si è aperta ad alcune confessioni private che riguardavano la sua famiglia (definita disfunzionale) che aveva due modelli educativi differenti per lei e per il fratello. Ha aggiunto che il suo lungo percorso psicoanalitico l’ha portata alla conquista più importante: perdonare sua madre.
Una serata di riflessione quindi ma anche di emozioni realizzata da un’intellettuale come Michela Murgia che non ha paura di definirsi femminista e che proprio sugli stereotipi di genere ha fatto la sua battaglia culturale.