Sentimenti in cerca d’autore. ‘Un cuore di vetro in inverno’ di Filippo Timi
La storia, così spiega il protagonista, è quella di un cavaliere che, suo malgrado, lascia ad attenderlo a casa l’amore della vita per andare a sconfiggere il drago che incarna tutte le sue paure.
Insieme a lui, in una parodia dell’assurdo, tragicomica e talvolta blasfema, una sorta di piccola Corte della quale fanno parte uno scudiero, una prostituta, un condottiero e un angelo custode. I personaggi interloquiscono con il cavaliere e si presentano, mentre le vite degli uni s’intersecano con quelle degli altri.
Questi eroi, perché solo così possiamo definirli, lo accompagnano attraverso le angosce in cui s’imbatte ciascuno di noi. Il menestrello ha il compito di rallegrare i momenti infelici dell’umanità, sia esso il trovatore leggero del Medioevo oppure assuma il ruolo contemporaneo di cantante o comico. Il condottiero intraprende, per stazioni successive, una scalata al fine di raggiungere l’obiettivo ultimo di ogni essere umano, ricongiungersi alla propria essenza; affrontando la fatica delle prove esistenziali e quella necessaria ad abbattere le barriere che ci separano dal vero amore, inteso non soltanto come unione carnale. La prostituta ci rasserena e ci intristisce con la sua scelta di vita, che se fosse stata diversa l’avrebbe portata a un destino certamente povero e solitario. Il suo ruolo è inequivocabilmente costruito per aiutare il condottiero nella ricerca di un sentimento libero e senza schemi.
L’angelo custode, interpretato in modo magistrale da Marina Rocco, incuriosisce per il tremulo sgomento, che puntualmente esterna. Non è l’angelo che in genere immagineremmo, pronto a risolvere qualsiasi dramma della vita terrena. E’ una creatura celeste assolutamente impreparata all’esistenza dei nostri giorni. Soffre la paura di essere inadatta a sostenere con le fragili alucce il peso del dolore umano. Più volte ci rammenta e sottolinea quanto i piaceri e le pene dei mortali siano enormi e incontenibili.
All’Angelo non è concesso di piangere, ma questa incapacità dilania tutto il suo essere. E’ senza dubbio la figura più originale e risolta dal punto di vista drammaturgico di Un cuore di vetro in inverno: priva di certezze, spaventata, gravata da una responsabilità di cui avverte le dimensioni eccessive.