Le visioni demoniache di Bulgakov. ‘Il Maestro e Margherita’ in scena allo Stabile di Catania

Le visioni demoniache di Bulgakov. ‘Il Maestro e Margherita’ in scena allo Stabile di Catania

I maestri si sa possono essere buoni e cattivi, emblema esponenziale di un perenne conflitto tra il Bene e il Male. La censurata e contestata, poi conclamata opera di Bulgakov, scritta e riscritta dal grande scrittore russo tra il ’28 e il ’40, pubblicata postuma, testamento e testimonianza di una Russia falciata dalla guerra e dalle persecuzioni politiche, ne dispiega in forma surreale tutti gli intrecci possibili, lasciandoci ammirati, stupefatti, irretiti da questo geniale e per certi versi allucinatorio exploit di forza narrativa.

La coraggiosa trasposizione teatrale di questo straordinario libro, icona letteraria del ‘900, ci impensieriva. Siamo andati con un collega alla prima dello spettacolo (unica tappa in Sicilia) “Il Maestro e Margherita”, confortati dal conclamato successo, ma con il vago timore di doverne uscire forse delusi e stanchi, a fronte anche dell’imponente durata complessiva della rappresentazione di ben 180 minuti. Fortunatamente siamo rimasti senza sforzo, incuriositi e interessati, fino alla fine, soggiogati e stimolati dal variegato assetto drammaturgico, ricco di suggestioni e movimenti scenici di forte impatto, supportati dall’essenziale scenografia di pareti annerite, come una lavagna, su cui graffiti preesistenti o in itinere restituiscono l’atmosfera di aula scolastica, nella quale dinamicamente si spalancano molteplici porte da cui escono ed entrano personaggi e situazioni.

Lo scenario frammentato e in dinamica costante chiede un occhio vigile ed elastico. Suggestioni metaforiche di oggetti e quadri emblematici ed evocativi, dalla Nuda Veritas all’effigie del Cristo crocifisso, stimolano riflessioni e interpretazioni segnate da questa energica e artistica pièce: una vera e propria palestra dell’attenzione. Incisivi gli interpreti, dall’inquietante e sornione Woland di Michele Riondino, magistralmente e sinistramente gracchiante e claudicante senza sfiorare la caricatura, alla dolce ed eterea Margherita di Federica Rosellini, al sobrio e dolente Maestro/Pilato di Francesco Bonomo. Tutti costantemente potenti in scena, in un andirivieni sferzante e inesauribile, tra nudità di corpi e vestimenti leggendari o contemporanei, a volte stravaganti. L’attenta drammaturgia di Letizia Russo ha reso unitario il tessuto frammentario e complesso del romanzo, costruendo una struttura mobile ed essenziale.

Vi si intrecciano due storie che si alternano fino alla fine. La prima ambientata a Mosca negli anni ‘30 e la seconda a Gerusalemme al tempo del processo a Gesù di Ponzio Pilato. Il Diavolo scende sulla terra con i suoi assistenti, sotto le mentite spoglie di Woland esperto di magia nera, destabilizzando la vita degli uomini, in particolare quella del poeta Ponyrev e e dello scrittore Berlioz. Questi morirà decapitato da un treno, come aveva predetto Woland e l’altro impazzisce e finirà al manicomio dove incontrerà un altro scrittore che si fa chiamare “il Maestro”, impazzito per un amore clandestino con la sposata Margherita e oggetto di acerrime critiche dei letterati sovietici per il suo romanzo su Ponzio Pilato, l’altra storia del romanzo. Il Maestro rivelerà a Ponyrev che Woland è il diavolo. Intanto a Gerusalemme le sorti di Gesù sono nelle mani di Ponzio Pilato, che in preda a un feroce mal di testa, secondo Bulgakov, è risaputo che se ne laverà le mani lasciandolo in quelle dei suoi carnefici.

Nella seconda parte Margherita e il tormentato amore del Maestro saranno travolti dai maneggi dei Diabolici, fino a quando Margherita volando come una strega, nuda a cavalcioni di un’altalena/scopa distruggerà la casa di uno dei critici del Maestro. Il loro ultimo incontro finirà con la morte di lei omicida-suicida e del Maestro, e a Gerusalemme con la condanna a morte del Cristo. La forza dell’Amore apparentemente vinto trionferà sulla morte liberandoli … ma per poco. L’alternarsi delle due storie è con Empedocle l’alternarsi delle due forze in campo. Odio e Amore in un’eterna alternanza.

Liberati dal Maligno gli uomini sono rimasti maligni” dice Mefistofele nel “Faust” di Goethe, opera di riferimento a cui Bulgakov ammiccava, spingendosi in un territorio che il ‘900 con le sue contraddizioni e il suo malessere attraversava, non senza quel filo di sottile ironia, strategia irrinunciabile per gli artisti di quel tempo che si staglia costantemente nel nostro orizzonte contemporaneo. Il taglio tragicomico con squarci di grottesco è naturalmente il taglio della pièce che rispecchia fedelmente lo stile del romanzo, pur nell’immaginario originale della fertile regia di Baracco, maelstrom di idee che scaturiscono e vorticano senza soluzione di continuità. Amore e Morte, Bene e Male, Dio e l’Ateismo sono grandi temi dell’opera, binomio indissolubile di un pensiero divergente che onora la tradizione senza scivolare nella facile retorica. “Cos’è la verità?”

Un appuntamento da non eludere.

IL MAESTRO E MARGHERITA

di Michail Bulgakov

Riscrittura di Letizia Russo

Regia Andrea Baracco

Con Michele Riondino, Francesco Bonomo, Federica Rosellini, Giordano Agrusta, Carolina Balucani, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe, Oskar Winiarski

Scene e costumi Marta Crisolini Malatesta

Luci Simone De Angelis

Musiche originali Giacomo Vezzani

Aiuto regia Maria Teresa Berardelli

Produzione Teatro Stabile dell’Umbria con il contributo speciale della Brunello Cucinelli Spa

Al teatro Verga di Catania fino al 2 Dicembre