VENEZIA 75. Il racconto della fragilità di Bradley Cooper e Lady Gaga e la definizione di democrazia in ‘Peterloo’
LIDO DI VENEZIA (dalla nostra inviata) – A star is born di Bradley Cooper è il quarto remake di questo classico cinematografico, il quinto se si considera Il prezzo di Hollywood (1932) di George Cukor, il primo in assoluto che utilizzò questo plot.
Una giovane cameriera, con aspirazioni da cantante conosce una rockstar che le aprirà le porte del successo. I due si innamorano e tutto sembra procedere come in una favola, finché non accuseranno la tensione causata dallo show business che li porterà progressivamente ad allontanarsi.
Lady Gaga con coraggio e semplicità si misura con un ruolo che in passato fu interpretato da stelle hollywoodiane come Judy Garland e Barbra Streisand. Ma piuttosto di copiare modelli crea un personaggio su misura per lei che non la fa sfigurare nel confronto con questi mostri sacri. Lady Gaga infatti non è solo una cantante molto dotata vocalmente, ma anche un’attrice di tutto rispetto, come ha già dimostrato nella serie tv American Horror Story.
Per quanto riguarda invece Bradley Cooper, se non c’erano dubbi sul fatto che fosse un attore valido (ricordiamo American Hustle e American Sniper) stupisce nella sua veste di regista. Cooper non ricerca l’autorialità ma l’emozione e il sogno, tipici dei film hollywoodiani del passato. E così questa ennesima versione di A star is born parla di un archetipo ma anche di qualcosa di nuovo, che tocca il cuore della nostra contemporaneità: la vulnerabilità. I due protagonisti cominciano ad amarsi nel momento in cui percepiscono e accolgono la fragilità dell’altro, che assieme alla propria diventa forza. Ma si tratta di un equilibrio precario, che viene messo a dura prova con il successo fulmineo. E in questi tempi in cui ci si può ritrovare famosi dall’oggi al domani con un milione di visualizzazioni su youtube è una problematica molto attuale.
Mike Leigh con Peterloo si cimenta con un episodio della storia della Gran Bretagna molto noto ovvero il massacro a St. Peter’s Field (a Manchester) nel 1819, dove persero la vita numerose persone (tra cui donne e bambini) e centinaia vennero ferite. Come spiega molto bene il film, avvenne in un momento particolare della storia inglese. Pochi anni prima, nel 1815 c’era stata la battaglia di Waterloo (dalla quale ironicamente deriva il termine “Peterloo”) e in tutto il paese cominciavano a diffondersi idee riformiste finalizzate al suffragio universale (solo maschile) e a una rappresentanza al Parlamento. Re, principe, politici e aristocratici spaventati dalla Rivoluzione Francese (che ebbe eco in tutti i paesi europei, ancora monarchie) si comportarono in modo ancora più repressivo, abolendo qualunque tutela a favore del cittadino, tra la quale quella di non poter essere arrestati senza motivo. Peterloo, opera necessaria, perché racconta un momento cruciale (non solo per gli inglesi) di definizione di democrazia, è un film dignitoso ma non memorabile. La ricostruzione storica (sia narrativamente sia scenograficamente) è molto accurata e anche la recitazione risulta realistica ma si è lontani dai risultanti eccellenti del regista, soprattutto dei film degli anni ’90, come per esempio Naked, il suo capolavoro.