In occasione della ripresa de ‘Le Rane’ di Aristofane al Teatro Greco di Siracusa, regia di Giorgio Barberio Corsetti, riproponiamo la recensione di Anna Di Mauro scritta il 2 luglio 2017.
Il canto della rana-cigno. Aristofane docet, la Poesia salverà il Teatro e lo Stato?
Poeti a confronto per salvare la cultura, la polis, la civiltà. Una disputa nel primo caso, una conciliazione nel secondo. Eschilo ed Euripide negli Inferi ellenici, Ezra Pound e Pasolini nei Video-Inferi per suggellare una sinergica commedia quasi musical in real time mediatico.
La Poesia educatrice può ancora redimere dalla corruzione politica, dal degrado culturale, dallo sfacelo? Può il canto dei poeti essere fertile nutrimento di un paese malato?
Questo il tema centrale dell’antimitopoietico Le rane, dissacrante, ambiguo spettacolo, degnamente conclusivo del 53° ciclo di rappresentazioni classiche a Siracusa, nello splendido teatro greco che ospita l’apprezzata manifestazione, promossa dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico.
ll significato di una delle ultime e più importanti opere politiche del grande commediografo ateniese, anomala per la presenza di un doppio coro, inquieta gli animi, già esacerbati, suscitando artatamente una tensione etica che il riso può solo acuire, nelle intenzioni della parodia.
La coerente regia di Giorgio Barberio Corsetti sceglie un allestimento basato sull’elemento-sorpresa. Il balzo scenico da un palco apparentemente deserto a esplosioni di scenografie surreali in progress, cori-vocalist, video in diretta, grandi marionette di cartapesta ispirate a Carlo Gilè, rivelano una tessitura in analogia, dove il grottesco giocoso riverbera l’ironico, ma sincero tentativo di salvezza di una Atene/metafora del nostro tempo, alla deriva.
Dioniso, travestito da Ercole per prudenza, timoroso e poco divino, e il suo riottoso servo Xantia, (premiata ditta Ficarra & Picone, in ruolo) a cavallo di un monopattino-cavallo, coppia già in preda a coprolalia reiterata, scendono agli Inferi per salvare il Teatro, riportando in vita Euripide, morto l’anno prima della stesura delle Rane (405). Il delicato compito li costringe a penetrare nel Regno dei Morti, parodiando altre ben più illustri discese nell’Averno. Mentre il Dio viene trasportato dalla barca di Caronte, (il servo in quanto servo no, a piedi, nonostante le proteste) appare il primo coro, le gracidanti, paludose rane, qui delizioso, verdognolo, luccicante gruppo vocalist (il palermitano SeiOttavi), in una raffinata chiave swing, inneggianti alla poesia e a Dioniso, Dio del Teatro, che però non riconoscono, e da lui zittite con il loro stesso verso: koax koax.
Dopo la fugace apparizione di questo coro animale, residuato arcaico delle antiche commedie, che probabilmente darà il titolo all’opera in quanto inneggiante alla Poesia, nerbo di tutta l’opera, i due dimessi pellegrini dell’oltretomba, rappresentazione di una civiltà in rovina, andranno incontro timidamente ai dannati e allo strampalato, musicale mondo dei Morti.
Dioniso, pavido ma deciso a riportare in vita il poeta che salverà la cultura e dunque la città in declino, avanza tra i suggestivi canti del secondo coro dei misterici puri di cuore discomusic, tra minacce di temibili mostri e incontri fuorvianti, fino a quando il viaggio lo condurrà finalmente al cuore della commedia, ai poeti, o meglio all’alterco tra il severo Eschilo e un Euripide in odore di dandismo, impegnati a contendersi in una accesa, dotta disputa il trono di miglior tragediografo di tutti i tempi. Sullo sfondo campeggia il gigantesco Plutone-marionetta, incastrato e occhieggiante a spiare tra le finestre di un piccolo, sghembo caseggiato infernale. Affascinante citazione di Alice nel paese delle Meraviglie.
Inizialmente propenso per Euripide, il sempre più debole e confuso giudice di gara, Dioniso-Ficarra, dopo una paradossale pesata dei versi dei poeti, sospesi su una gigantesca bilancia, per stabilire tra loro il primato, finirà per scegliere l’arcaico Eschilo, salvator mundi in redingote, che “profetizza” la salvezza di Atene indicandola nelle navi. Prima di risalire dall’Averno designerà Sofocle come suo successore, lasciando Euripide, modernista sconfitto, in preda a lagnanze e turbamenti.
Un dio (poco dio) travestito, due poeti morti che litigano e vorrebbero tornare in vita, un inferno da baraonda, sono sintomi ineludibili di un velato pessimismo surreale. Sullo sfondo una Atene stremata dalla stolta e disastrosa guerra del Peloponneso, dove l’unica vittoria ateniese, la battaglia navale delle Arginuse, viene paradossalmente e follemente salutata dal governo corrotto con la condanna dei suoi protagonisti, i navarchi, col pretesto di avere abbandonato i soldati morti durante la difficile ritirata.
La consapevolezza dolorosa di una gravissima crisi sgualcisce dunque l’impegno politico del primo Aristofane che ora sterza, senza rinunziare alla sua fertile fantasia, su una ricca comicità surreale, attento ai segnali incontrovertibili dello spalancarsi di un abisso davanti alla splendida civiltà ellenica, desolato tramonto dell’unico modello di Democrazia del mondo antico. La pace invocata appare lontana e disabitata. La fiducia in una via di salvezza occhieggia, tra scorci di ambiguità.
Apparentemente in un clima più spensierato delle Rane ronconiane che a suo tempo suscitarono forti tensioni e polemiche a Siracusa per i ritratti in scena di Berlusconi & Soci…, poi rimossi tra dissensi e minacce di abbandono del regista, queste fabulistiche, ben orchestrate, multimediali Rane, appetibili nella varietà dei linguaggi e nel rispetto estremo del testo, portano meritoriamente l’attenzione sui poeti e sulle loro debolezze, ma soprattutto sul ruolo fondamentale che essi rivestono nella società.
La scelta registica di chiudere con le toccanti icone di Ezra Pound e Pasolini, (Video- intervista del 1968) apre scenari possibili. Più che disputare gli intellettuali si incontrino e dialoghino per l’obiettivo comune della salvezza dello Stato, quindi della Cultura, nella fattispecie del Teatro.
Una nota di speranza, la comicità delle Rane apre squarci apocalittici contemporanei, illuminati da un sole splendente, caparbiamente dietro le nuvole, auspicando che la poesia salvifica inondi con la sua luce le tenebre di un tempo che non ci onora. Aristofane ci indica la preziosa via, anche se con evidente ironia. Non rimane che seguire ciò che il suo indice ci mostra…senza guardare l’indice.
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LE RANE
di Aristofane
Direttore artistico Roberto Andò
Traduzione Olimpia Imperio
Regia Giorgio Barberio Corsetti
Scena Massimo Troncanetti
Costumi Francesco Esposito
Musiche SeiOttavi
Riprese Video Igor Renzetti
Disegno luci Marco Giusti
Marionette Einat Landais
Produzione INDA. Fondazione ONLUS Siracusa
Cast Valentino Picone – Salvo Ficarra – Roberto Salemi – Dario Iubatti – Giovanni Prosperi- Francesco Russo – Francesca Ciocchetti – Valeria Almerighi – Gabriele Benedetti – Roberto Rustioni – Gabriele Portoghese
Cori i SeiOttavi – l’Accademia d’arte del Dramma Antico – sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”
Al Teatro Greco di Siracusa fino al 15 luglio