Il ritorno di Euridice
Nella suggestiva cornice del Castello Ursino, un’altrettanto suggestiva “Ombra di Euridice”. E’ il secondo spettacolo nell’ambito della rassegna Altrove del Teatro Stabile catanese, che offre in spazi inconsueti nuove realtà teatrali.
La storia di Orfeo ed Euridice, struggente e ricca di variegate interpretazioni, ci suggestiona ancora una volta. Con uno spettacolo nello spettacolo, ispirato al teatro delle ombre, intriso del mito di Orfeo, con una narrazione trina, tra mito, realtà e sintesi dei due elementi, fusi in una toccante vicenda parallela, si dipana l’arcana, tristissima vicenda del poeta incantatore e della sua sposa, bellissima ninfa rapita alla vita e alle sue braccia dal veleno mortale di un serpente. Orfeo otterrà dagli dei il permesso di sottrarla al Regno dei morti, ma contravvenendo al divieto di volgersi indietro mentre percorrono a ritroso il cammino irreversibile dalla morte alla vita, lui avanti, lei dietro, Orfeo perderà per sempre la sua Euridice, che ritornerà ombra tra le ombre.
Dal triste e inevitabile epilogo mitico approdiamo alla vicenda terrena del signor Orfei e della moglie, che scorre impietosamente in una moderna clinica dove il medico-Ermes e l’infermiera–Persefone accompagnano la disperazione a tratti sconfinante in delirio dell’uomo che dice di chiamarsi Orfeo, che non vuole perdere la sua donna-Euridice, ma finirà per approdare all’accettazione di una morte umanamente inaccettabile, ma naturalmente necessaria. Tema delicato e profondamente doloroso, che la pièce tratta con un’alternanza di toni epici e lapidari efficacemente e intensamente interpretati dalla regale Persefone di Liliana Randi, affiancata dalla trepidante Euridice di Giovanna Mangiù, da un essenziale e tagliente Ermes di Filippo Brazzaventre, dal delicato Orfeo di Angelo D’Agosta nella prima parte, dove il mito esplode nelle immagini e nei fasti della divinità degli Inferi, per poi adagiarsi, con struggente e attualizzante adesione elegiaca alla realtà lacerante dell’ospedale e della malattia terminale a cui una coppia, atto d’amore estremo, decide in accordo di porre fine alle di lei sofferenze, inchinandosi alla forza del destino, non senza struggimento e rimpianto.
Tre i punti di forza di questo spettacolo. Primo, il movimento incessante dietro il velo-sipario su cui poggia il volto sonoro delle apparizioni di anime dai profili evanescenti proiettati sulla tela, affascinante e inquietante nel suo incessante dinamismo fluttuante. Il gioco delle ombre danzanti è accompagnato da voci dai timbri puri evocative di luoghi e storie nascoste allo sguardo, dove il mistero dell’aldilà si tinge di fugaci cromatismi.
Il secondo è l’atmosfera ambigua che inizialmente assume i contorni della tragedia greca, di cui il mito è nutrimento e forza, per poi sterzare verso la realtà del dolore terreno dei mortali. La contaminazione dei due contrapposti divino-umano nell’epilogo ci svela la impossibilità di un destino diverso e di un contatto col divino, disperatamente cercato, ma che può solo esplodere nella violenza della possessione, come ampiamente e mirabilmente esplorato da Calasso in “Le nozze di Cadmo e Armonia”.
Il terzo è il fascino di una storia, frequentata da letteratura e cinema per la sua suggestione, basti per tutti Orfeo Negro, che attrae e suscita domande, riflessioni, dubbi, coinvolgenti considerazioni sull’amore negato dagli dei e dalla condizione umana. Le strategie del mito occupano e sanano sublimandoli spazi irrisolti della psiche di grande respiro intellettuale e morale. Ai bordi della storia si intrecciano speranze inutili, pronte a stanare le grandi paure. Tra tutte domina la paura della morte, certamente foriera di comportamenti insani e umanissimi. Sulle ali della poetica dolcezza di Euridice, dissepolta per un attimo, ci congediamo da una tragica storia che non ci pacifica, sul finale della pièce, punto debole di un testo di spessore. Dal turgido epos dell’incipit approdiamo a un epilogo vagamente melò, sterzando sul romanticismo di una coppia di eccellenza, come tutte le coppie letterarie e mitiche separata dalla falce della Signora Morte. Bisogna fare i conti con l’ “umano, troppo umano” di nietzschiana memoria, ad interim.
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L’OMBRA DI EURIDICE
di Mario Giorgio La Rosa
Regia di Angelo D’Agosta
Con
Liliana Randi, Filippo Brazzaventre, Angelo D’Agosta, Giovanna Mangiù e Amalia Borsellino, Costanza Paternò
Movimenti scenici Amalia Borsellino
Direzione coro Costanza Paternò
Produzione Teatro Stabile di Catania
Al Castello Ursino di Catania fino al 17 Giugno