L’indocile Antoine. “L’Atelier” di Laurent Cantet
Dieci anni fa, Laurent Cantet vinceva a Cannes con il film di gran pregio La classe, ove si raccontano i difficili rapporti tra un professore di francese e una classe plurietnica indotti a parlare la stessa lingua, ma con effetti quantomeno problematici. Tanto che, come è stato acutamente osservato, “le differenze linguistiche e culturali diventano diseguaglianze, si aggravano invece di essere superate”.
Ora, sulla traccia della Classe definisce meglio il plot di una storia variamente incentrata sullo svolgimento di un laboratorio condotto dalla professoressa Olivia Dejazet, a La Ciotat (ricordate l’arrivo del treno dei fratelli Lumière?), con sette ragazzi di diversa provenienza fra i quali si scompone, polemizza con idee piuttosto estremistiche l’indocile Antoine, nel divenire di un progettato “poliziesco” da realizzare collettivamente sotto il titolo L’Atelier.
Imperniato su dialoghi fittissimi, sempre tenuti su un registro di intenso spessore dialettico, L’Atelier sembra ispirato, per tanti versi, ai sapidi racconti già creati a suo tempo da Eric Rohmer su dialoghi sciorinati con un empatico “ragionar d’amore” arieggiante al più classico Marivaux. Centrale si dimostra il ruolo del “reazionario” Antoine che nelle sue reiterate sortite provocatorie induce a considerazioni un po’ eccessive o in qualche modo segnate da un approccio sempre oltranzista, pur se dettato da un appassionato, autentico slancio chiarificatore.
Quel che conta davvero nell’Atelier emerge con chiarezza dalla precisa intenzione di aggirare, smontare sin dall’inizio ogni sbrigativa patina “politica”, privilegiando ben altrimenti un prodigarsi ininterrotto di far capire i personaggi, le situazioni nella proporzione tranquilla, decontratta dell’incedere del reale.
Persino l’aggressivo Antoine nella foga dei suoi argomenti retrivi va al di là di velleitari “spari alla luna” risolvendo in una acquietata smania quel che in origine poteva sembrare soltanto un sussulto eversivo parossistico.
C’è in un film di questo genere una attenzione particolare nel prospettare, prima, problemi, questioni di urgente attualità e, in seguito, uno sciogliersi graduale nel folto di un dibattito serrato una verità tanto semplice quanto immediata.
Riassumendo, come è stato scritto con estrema proprietà: “In qualsiasi altro film il personaggio di Antoine sarebbe stato liquidato come un giovane di destra, tutt’al più “traviato” e da redimere. Qui, invece, è un ragazzo tentato sì dalla propaganda estremista, un potenziale nichilistica, e che tuttavia si sforza di capire il mondo in cui gli è toccato vivere… senza contentarsi di parole d’ordine o di altre scorciatoie”. Cantet non fa proclami, né messaggi di alcun tipo con L’Atelier, si limita a documentare, a constatare. Il resto è delegato agli spettatori.