Una breve vacanza. “D’estate con la barca” di G. Patroni Griffi al Piccolo Eliseo di Roma A distanza ravvicinata, il Piccolo Eliseo di Roma, che proprio a Giuseppe Patroni Griffi venne intitolato due anni dopo la sua morte (2005), propone in forma di atti unici due testi giovanili dell’eccentrico, intraprendente, indolente\iperattivo scrittore napoletano, “datosi” alla regia (ci raccontò in una lontana intervista) “più per interesse economico…” (“affrancarmi da ogni familiare dipendenza”) che per “brama di vocazione”. Vero o falso che fosse (al sapido Peppino piaceva mescolare fantasie, esperienze reali, biografie altrui “chieste” in prestito), c’è poco da interrogarsi: sia “D’estate con la barca”, sia “Scende giù per Toledo” restano due limpidi esempi di narrativa anni sessanta in cui il connubio fra giovinezza e ansia di vita si discosta dalle penombre, a quei tempi in auge (penso ad Ercole Patti, ad Alberto Moravia), ove la sessualità si “auto-ergeva” a malconcia insegna della ‘verginità perduta’ (ovviamente tutta al maschile). “D’estate con la barca”, redatto nel 1955 (per l’editore Vallecchi), si segnala e si sublima in una sorta di sensibilità tutta al femminile in cui alla “voluptas dolendi” dell’intellettuale d’epoca (magistrale nell’umorismo color seppia di Ennio Flaiano) subentrava una (inedita, tranne per Gadda) “cognizione del dolore”, consistente nell’irruzione dell’ ‘evento’ tragico e nella ‘necessità’ di doverlo precocemente metabolizzare – consustanziarsene – per poi avviarsi ad una “condizione adulta” impoverita e fortificata da scetticismo e disincanto (necessari alla “sopravvivenza” della “corda civile” nelle relazioni umane) Gaia Aprea, vibratile e padrona assoluta della scena (impalpabilmente ‘accudita’ dalla regia di De Fusco) racconta (in seducente alternarsi di prima e terza persona) la gita in barca lungo la costa di Posillipo di due coppie di ragazzi, all’insegna dell’amore e del sacrosanto ardore giovanile. “Le coppie – di per sé, annota De Fusco – nascono già teatrali: quattro ragazzi che mi piace immaginare giovani primi attori o comprimari in sospirata vacanza”. Forse dopo una precaria stagione di fatiche e trasferte. Non è un dettaglio da poco, poiché la bella performance della Aprea si offre ad un trepidazione, ad un’ansia di ‘pudica esibizione\rivelazione’ che ha pentagramma di connotazioni inattese: per questa “gita” di vivacità e progetti di vita che, per meglio chiarire, sta tutta all’opposto del più famoso “faro”, immoto e introspettivo di Virginia Woolf. Escursione di mare (al riparo da ogni terra) che, d’improvviso e per sventura, cambia rotta e registro: dall’esultanza dei sensi al lurido blitz della nera-sparviera, che – approfittando di un ‘aitante’ tufffo del ragazzo – pone fine al caro e carnale idillio: nell’istante in cui va complicarsi nella probabile procreazione di una creatura che verrà al mondo già orfana, quindi predisposta alla cognizione dei mille dolori con cui “sconteremo la morte vivendo”. Sobrio e lancinante come certe iniziazioni alla vita care Elsa Morante e Quarantotti Gambini, “D’estate con la barca” è atteso a Parigi per essere conosciuto da una più vasta e meritevole platea. PS Una ‘perla’ incastonata nel racconto: la descrizione sismica, non morbosa di un femminile orgasmo che è “gioia, stordimento, premonizione”. Unicum letterario di uno scrittore-uomo, almeno in ambito italiano. |