Telesaudadaismo: due anni fa prendeva congedo Ivo Garrani, corsaro della TV in bianco e nero
Ad uno ad uno se ne vanno i protagonisti di quell’irripetibile stagione della tivvù in bianco e nero cui dobbiamo tanto di quello che siamo oggi e a cui pertanto restiamo affezionati in modo struggente. Due anni fa è toccato a uno degli ultimi superstiti, un indimenticabile primattore come Ivo Garrani, inconfondibile per stile, fisicità e repertorio. Abruzzese di nascita ma d’immediata adozione romana, è mancato a novantun’anni dopo una vita spesa quasi fino all’ultimo sulle tavole di un palcoscenico.
A noi Garrani risveglia tanti ricordi, in verità sempre vividi, legati all’infanzia e a al mondo magmatico e sorprendente racchiuso in quella sorta di vera e propria magic box che era l’apparecchio televisivo. La popolarità di Ivo Garrani resta legata alle sue interpretazioni per il piccolo schermo molto più che all’ultradecennale attività in teatro ed alle pur incisive caratterizzazioni cinematografiche, dal Gattopardo di Visconti all’Ultimo Zar di Pierre Chenal, da peplum di successo come Ercole alla conquista di Atlantide a Cartagine in fiamme, dal Gobbo di Lizzani che lo vide sul set discorrere affabilmente con Pasolini ad Adua e le sue compagne di Antonio Pietrangeli, dall’horror La maschera del demonio di Mario Bava a Zora la vampira diretto molti anni più tardi dal figlio di questi, Lamberto Bava fino a Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato.
Una carriera di tutto rispetto, come si può notare, eppure non paragonabile al suo repertorio televisivo. Chi scrivendone ha evidenziato il lavoro sul grande schermo, non ha nessun ricordo e nessuna conoscenza di quel periodo e probabilmente essendo intossicato dalla televisione degli ultimi trent’anni, approccia anche la produzione dell’era del bianco e nero fuorviato da pregiudizievole sufficienza come fosse un genere minore. Se neppure il più distratto necrologio poteva trascurare il ruolo del padre burbero ed esasperato di Giannino Stoppani nel Giornalino di Giamburrasca della Wertmuller, un capolavoro assoluto della nostra televisione, in pochi hanno menzionato il suo Silver John nell’Isola del tesoro di Majano del ’59, uno dei primi brividi televisivi per quelli della mia generazione che lo recuperarono in replica nei primissimi sessanta. Fanfarone quanto un Falstaff, subdolo come uno Jago, Garrani diede del fosco personaggio di Stevenson una caratterizzazione insuperabile, forse definitiva, al cui confronto sbiadisce anche quella di Orson Welles per la pasticciata coproduzione diretta da Andrea Bianchi nel ’72.
Ma se c’è un pezzo di grande televisione poco noto e da recuperare, questo è Sette piccole croci, un kammerspiel ambientato in una sala operativa del Quai des Orfèvres, tratto da Simenon, diretto da Vittorio Cottafavi nel 1957 ed interpretato dal nostro accanto a un stuolo di suoi pari, da Gianni Santuccio a Renato De Carmine, da Carlo Alighiero a Tino Bianchi e a Carlo Bagno. Ma è tutta la prima, pionieristica era dei teleromanzi che vede in Garrani una presenza fissa, da L’alfiere a Capitan Fracassa, da Umiliati e offesi a Delitto e castigo. E prima ancora c’era stata la fase non meno eroica della radio dove si era fatto le ossa con registi come Majano e Guglielmo Morandi o al fianco di Gian Maria Volontè in Sacco e Vanzetti.
E naturalmente c’era stato il doppiaggio per cui tante volte abbiamo sentito Rod Steiger e Fernando Rey parlare con la sua voce pastosa che ben gli si attagliava. L’ultima interpretazione importante per la televisione che ci piace ricordare è quella dello Scandalo della Banca romana, diretto da Luigi Perelli e trasmesso nel 1977. C’è poi qualche peccatuccio senile, dal nostro punto di vista, come la partecipazione a Un posto al sole ma gliela perdoniamo, sapendo come sono fatti gli attori e pure in considerazione del suo straordinario stato di servizio. Infatti in decenni di palcoscenico Garrani ha incrociato e recitato al fianco di tutti i più grandi attori ed attrici italiani. Io ebbi modo di ammirarlo nel 2003 al Teatro Valle in uno Zio Vanja di Cechov accanto a un ex divo del teleschermo come Andrea Giordana. Ma ad accrescere esponenzialmente il tasso telesaudadista di quello spettacolo c’era pure la regia di Sergio Fantoni, altro volto popolarissimo e sin dalla prima ora degli sceneggiati della domenica sera. In quell’occasione ebbi modo di avvicinarlo in camerino e di fargli dono con modi fervorosi della tessera onoraria del Movimento Telesaudadista. Rimase sorpreso quanto Roberto Herlitzka e lusingato come Corrado Pani in analoghi frangenti.
Ci ripromettemmo, come sempre accade in questi casi, di ritrovarci per una serata pubblica. Il pretesto fu in effetti offerto di lì a poco da una serata telesaudadista dedicata ad Enrico Maria Salerno, suo sodale degli esordi insieme a Giancarlo Sbragia. Lo contattai ma qualcuno mi rispose che si trovava in Africa dove era solito trascorrere lunghi periodi quando non era impegnato sulle scene. Peccato, mi dissi, sarebbe stato bello ricomporre la coppia di genitori di Giamburrasca insieme con Valeria Valeri, lì in veste di compagna di vita e di scena di Salerno e soprattutto come “signora Benvenuti”. Confesso di non aver letto la sua autobiografia, Una carriera per caso. Vedrò di colmare questa lacuna ma nel frattempo mi sia consentito parafrasarne il titolo che trovo ispirato da autentica modestia anzichè dalla consueta civetteria d’attore. C’è molto di casuale nelle vite di tutti noi e dunque anche nella fortuna d’un attore ma la carriera di Ivo Garrani non solo testimonia di un talento non comune ma anche e soprattutto di una passione eccezionale e inesauribile per il proprio lavoro.