“Sicilia!”, o del cinema che non si arrende

“Sicilia!”, o del cinema che non si arrende

5 novembre 1999, prime proiezioni, a Roma, di “Sicilia!”, uno dei massimi capolavori della cinematografia contemporanea, che chiude simbolicamente il “nostro” Novecento. Diretto dal geniale duo Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, anche compagni di vita, il film si inoltra nei sentieri più dolorosi segnati dalla scrittura di Elio Vittorini nel suo “Conversazione in Sicilia”, da cui l’opera è tratta.

Accusati da più parti di fare un cinema d’élite e sperimentale, i due cineasti francesi si sono da sempre mantenuti coerenti con il loro proposito di fare film intesi come strumento di crescita ed emancipazione sociale e culturale, oggetto di lavoro finalizzato a liberare l’uomo dai luoghi comuni dell’arte concepita come mero strumento di intrattenimento estetico. Il loro essere “non riconciliati”, parafrasando il titolo di uno dei primi lavori del solo Straub, li ha portati ad inventarsi nuovi linguaggi, non corrivi, capaci di manifestare ipotesi altre di messinscena di una realtà che ai loro occhi marxiani si è sempre presentata come ingiusta e prevaricante. La loro “indigeribilità” presso le masse popolari non è mai stato un atto di provocazione ma una necessaria scelta per porre le basi di una nuova percezione collettiva del binomio arte-politica.

In questo, Straub e Huillet rappresentano, forse, l’ultima forma di avanguardia “storica” che non si è ancora arresa dinnanzi a un mondo che ha avuto gioco facile, loro cosi indifesi e solitari, nel tenerli fuori dai grandi circuiti di cui, purtroppo, la settima arte, visti i costi realizzativi, sembrerebbe  dover  far parte per sopravvivere.

In “Sicilia!” ,la sofferenza legata alla sopravvivenza, il senso di abbandono, la necessità di rendere l’uomo libero da ciò che gli impedisce di essere tale, sono tutti temi vittoriniani che i due cineasti riescono a tramutare in splendide immagini, significativamente in bianco e nero, a non farle travolgere dal sole ingannatore, con lunghe inquadrature fisse dove i personaggi, interpretati non a caso da attori non professionisti, manifestano il loro disagio attraverso dialoghi scarni ma efficaci e semplici gesti. Il tutto ad evidenziare, metaforicamente, l’atavica impotenza cui è stata costretta una terra, la Sicilia, emblema di tutti i vinti.

Ed è così che Straub e Huillet riescono a superare alla grande, per l’ennesima volta, la loro sfida comunicativa di raccontare certi temi ancora oggi fuori dalla percezione comune. Il cinema, dunque, come materiale resistente, sacrificio, scelta di vita, impossibilitato a non essere militante, pena il suo oscuramento. Troppo male, offendere il mondo…