Il sottosopra del sogno americano. “The Florida project” (Un sogno chiamato Florida) di Sean Baker
Il cinema di Sean Baker è difficilmente classificabile, un incrocio tra film narrativo e documentario che però non si può definire docufiction. Se infatti quest’ultima si propone di raccontare una storia realmente accaduta utilizzando elementi fittizi, film come The Florida Project oTangerine partono dal presupposto contrario: filmare una storia immaginaria partendo dal “reale”.
Il regista, assieme a Chris Bergoch (produttore e co-sceneggiatore), ha fatto numerosi viaggi in Florida, soggiornando ad Orlando e più precisamente dietro il Walt Disney World. I due sono rimasti molto colpiti da quel mondo nascosto a poche centinaia di metri dal famoso parco di divertimenti. Motel che fino a dieci anni fa erano frequentati solo da turisti, ma che oggi ospitano famiglie che vivono precariamente e non possono permettersi il deposito per appartamenti normali. Mostri urbani che sorgono nel nulla, senza servizi né progetti a lungo termine, ad eccezione dell’incursione di qualche assistente sociale.
Un film di un’inedita freschezza, che senza moralismi e a volte con tenerezza mostra il “Sottosopra” (come in Stranger Things) del sogno americano: l’ingiustizia sociale che è parte integrante e invisibile di quell’abbondanza lucente e colorata.
La protagonista della storia è una bambina di sei anni che con il suo gruppo di amici ne combina di tutti i colori, proprio come i protagonisti delle Simpatiche canaglie, che il regista ha ammesso di adorare.
Come per Tangerine il cast artistico è costituito da persone normali (non attori), spesso del posto. Il regista durante le riprese era sempre pronto a cambiare la sceneggiatura in base alle dinamiche che si creavano sul set. Anche Willem Dafoe si è amalgamato con il resto del cast, non cercando mai di prevalere ma mettendosi generosamente al servizio delle necessità narrative.