Dino Risi e il “Giovedì” della verità
23 gennaio 1964, arriva nelle sale “Il giovedì”, ennesimo capolavoro di Dino Risi e uno dei film chiave della grande stagione della commedia all’italiana.
L’anno appena trascorso aveva registrato i primi scricchiolii del boom. L’occasione era, dunque, buona per riflettere. Su anni veloci e spietati, che tutto travolgono. E così un giovedì di fine estate, carico di metafore, segna il bilancio pubblico e privato di un paese ebbro di tutto. Papà Dino (un inarrivabile Walter Chiari), separato, autobiografia lecita e fortunata in tempi di Nouvelle Vague per il grande regista milanese, ritrova per un giorno Robertino, affidato alla mamma teutonica ed efficientista come i tempi ed il lignaggio richiedono. Imbarazzo e stress da dimostrazione per un padre dai pochi esempi e i molti fallimenti, curiosità e intuizione infantile per Robertino che tutto capisce e giustifica, lui così piccolo eppure così tremendamente grande.
Una gita in macchina, il mare, il gelato, le gemelle Kessler dal vivo, il tutto compensato dallo schiaffo di un creditore al papà inevitabilmente insolvente. “Ladri di biciclette” senza nulla da ritrovare se non mani strette come quelle di Maggiorani e Staiola; altri tempi, altre necessità, uguali solitudini. E allora rieccoli, finalmente, la periferia dell’infanzia di Dino, anche se già aggredita dal cemento, il prato ultimo lembo di natura vissuta, come in Pasolini, la partita a pallone, il vociare dei bambini così diverso dall’asettico collegio di Robertino. Attimi sospesi e sguardi felici, come quello della nonna in ristrettezze e dalla casa modesta.
Altri odori, altri sapori, ma poveri troppo poveri per diventare quotidiano, abitudine. Per Dino meglio rituffarsi nell’illusione. Robertino a tarda sera è di nuovo in albergo dalla mamma; un separè per la cena è l’addio a papà. Un fischio è il segnale segreto che li unisce per sempre. Regali crudeli da neocapitalismo e un nodo alla gola che il sottofondo di Endrigo ci costringe a sciogliere.