Il Tamerlano tradito di Luigi Lo Cascio al Teatro Verga di Catania

Il Tamerlano tradito

Se tradire in termini latini significa traslare per conoscere,  il “Tamerlano”, nell’adattamento e regia di Luigi Lo Cascio significa tradire la monocorde anima nera del possente e corposo “Tamerlano il Grande”  dell’inglese Marlowe, opera  della fine del ‘500 a cui Lo Cascio si è ispirato, prendendone  tuttavia le distanze con quella sensibilità moderna che tende a  scavare nelle pieghe del  Male per coglierne tralignamenti e sbavature, qui immaginati nel delirio terminale della conoscenza di sè.

Colto prima di morire  in una riflessione critica che è tutta del nostro tempo, ben lungi dagli aneliti rinascimentali di una genìa ubriaca di  potenza antropocentrica, questo Tamerlano umanizzato ha perduto la tracotanza e il parossismo del suo ispiratore, pur conservando un’aura di grandezza che prorompe da ogni gesto e da ogni sfumatura della voce pagana e terragna di Pirrotta e dal suo furore igneo. La guerra  con il  suo carico di  orrori  scalpita nell’oscurità del palco, tagliato da fasci di luci rivelatori di corpi in transito, in azione, immobili nella morte, come squarci di una mente che ora non può più mentire a se stessa.

La vita  e le grandiose  conquiste del re di Samarcanda, al di là delle facili, inquietanti equazioni, scorrono inesorabili davanti ai nostri occhi, evocate dalla memoria impietosa di un uomo in fin di vita, mentre la scena  si  accende dei guizzi poetici di un mandorlo fiorito nella neve. L’uomo è Tamerlano, il feroce  condottiero restauratore del vasto impero  mongolo, frutto di incessanti, crudeli conquiste.  Già posseduto dal  delirio di onnipotenza, qui ora appare duramente provato dai lutti familiari dell’amata moglie e dei figli, dallo smarrimento e dal distacco interiore per il guerriero che è  stato.

Corrosa la sua certezza, appiattito il suo sogno di Potere, il re muore portandosi dietro la tragica memoria della vita guerresca con il suo carico  di  devastazione e morte. Nelle fitte maglie di questa tragedia senza tempo si insinuano a tratti dinamici monologhi di prorompente attualità, transitando dalle altezze del verso  ad accenti spiccatamente romaneschi  per  passare ai vari dialetti del “Bel Paese”, fino al siculo e al veneto, spezzando  artatamente la possente retorica del tessuto poetico,  con effetti stranianti, di apparente alleggerimento.

Lo Cascio nella sua ispirata riscrittura mostra di  misurarsi  agevolmente con la forza e la potenza  epica del dramma, conservandone i toni e gli accenti, lasciandosi catturare dall’ampiezza del testo originario e dalla sua bellezza, ma andando oltre la storia di Tamerlano, senza perdere la tentazione di una proposta di attualizzazione  condotta  con onustà  di intenti.

Il risultato è uno spettacolo cupo, grondante angoscia, sconvolto dai guaiti di un’umanità straziata dalla brama di potere, ritagliata dallo schematico rigore scenografico dei pannelli saliscendi e dei due piani in cui è diviso lo spazio scenico, dove  si adagia l’accuratezza dei  grigi costumi di varie fogge ed epoche, la perizia generosa  del cast impegnato in molteplici ruoli, su cui si staglia l’interpretazione altamente evocativa di Pirrotta. La regia apparentemente frastagliata, in realtà  converge in un unico punto: una lunga, rigorosa, monolitica  riflessione al di là del tempo e dello spazio  sulla tragicità della nostra effimera  esistenza. Tamerlano docet.

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TAMERLANO

Di Luigi Lo Cascio

Tratto da “ Tamerlano il Grande” di Christopher Marlowe

Regia  Luigi Lo Cascio

Con

Vincenzo  Pirrotta , Tamara Balducci, Gigi Borruso, Lorena Cacciatore, Giovanni Calcagno, Paride Ciciriello, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Fabrizio Romano.

Scene e costumi Nicola Console e Alice Mangano.

Musiche  Andrea Rocca

Luci    Cesare Accetta

Aiuto regista Alessandro Idonea

Produzione Teatro Biondo  Palermo

Al Teatro Verga di Catania fino al 18 Marzo