Ricordo di un incontro con Federico Fellini: “Io, capocomico”

Ricordo di un incontro con Federico Fellini: “Io, capocomico”

Rovistando tra vecchie carte, ci è capitato di trovare il testo di un lontano incontro con Federico Fellini, in occasione dell’anteprima a Milano del suo ultimo film La voce della luna (1990). Ovvio che tale fortuito ritrovamento ha  innescato nella nostra mente un’onda di immediati sentimenti, di ricordi di un piccolo evento degno di essere riproposto ancora oggi, poiché, in effetti, dalla sua scomparsa nel 1993, Fellini sopravvive oggi solo come emblema di un certo irripetibile cinema, di una dedizione creativa del tutto originale.

Quindi, sulla base di questa constatazione, eccoci a rivisitare con qualche personale emozione la fugace memoria del menzionato incontro almeno nelle sue parti più significative. Milano, ore 10, lezione di cinema. E di tante altre cose, di varia umanità. La prima fase vede in campo il neo settantenne Federico Fellini, vispo e cordiale come non mai, all’ingresso della sala Mignon, scambiare saluti e carinerie con critici e amici lì convenuti per assistere alla proiezione del nuovo nato, l’attesissimo film La voce della luna, liberamente tratto dal bel libro di Ermanno Cavazzoni Il poema dei lunatici pubblicato nel 1987 da Boringhieri.

Basta. Finiti i convenevoli, ognuno dei presenti si immerge nella poltrona, nei propri pensieri. La proiezione di lì a poco risucchia tutto e tutti. Ciò che fa seguito al termine dello spettacolo è per larga parte prevedibile. Flashes a mitraglia dei fotografi per Fellini e Villaggio, calorosamente festeggiati da tutti. Quindi, con tempi assolutamente rilassati, il cineasta, l’attore e un piccolo corteggio di critici si incamminano, dalla galleria del Corso, verso piazza della Scala, ove informalmente i discorsi continueranno propiziati da una sobria classica colazione alla milanese nel più tradizionale dei ristoranti del centro.

Fellini si inoltra subito in una specie di soliloquio quasi soprappensiero su certe proposte, alcune occasioni che con qualche rammarico dice di aver lasciato cadere. La sollecitazione, ad esempio, da parte dei fortunati animatori di un musical di successo quale Jesus Christ Superstar, di allestire, come e quando avesse voluto, uno spettacolo teatral-musicale dal celebre Pinocchio di Collodi. Mentre indugia su tale ricordo, Fellini confessa divertito: “Immaginate la gioia di fare il capocomico come Goldoni. Eppoi, lo spasso di trascorrere almeno un paio di mesi nello scegliere la possibile interprete della Fata Turchina. Il tutto tra incontri, pranzi, viaggi… Una favola, davvero…”

Pausa sapiente, poi Fellini riattacca: “Non ho fatto, al di là di ogni esteriore apparenza, un film padano. Mio intento è stato, semmai, operare una spuria commistione di dialetti, di modi espressivi tipici di alcune regioni confinanti, ove più evidenti toni e umori del mondo contadino si palesano ancora con quella dolcezza, quella malinconia segreta che sottende, suggerisce sentimenti primari”. La traccia narrativa del film La voce della luna, si sa, è una avventurosa, ellittica perlustrazione, tramite quelle figure circensi del “clown bianco” Salvini (un portentoso, controllatissimo Roberto Benigni) e l’ “Augusto” prefetto Gonnella (il più bel personaggio mai interpretato dal prodigo Paolo Villaggio), di una realtà sghemba, sfuggente, dislocata ambiguamente tra follia e visionarietà onirica…

A noi sembra che il testo di Cavazzoni abbia inciso in modo determinante nel fare emergere sullo schermo aspetti e particolarità di quella tipica “follia padana” che, passo passo con lo scorrere verso la foce del Po, anima, caratterizza a fondo individui e cose…

Fellini ci ha messo sulla buona strada e avanziamo l’ipotesi che La voce della luna sia soprattutto un poema sconsolato, toccante sulla perdita, lo sfascio del mondo contadino. “In effetti, ho sempre nutrito l’ambizione di avventurarmi in tale realtà. Avevo persino escogitato un titolo un po’ bergmaniano per dare corpo a tale progetto Il silenzio dei campi. Poi di aggiornamento in aggiornamento, l’idea è stata soppiantata da Amarcord e dall’ancora inespresso ma sempre incombente Mastorna. Prima o poi finirà che lo farò questo favoloso, favoleggiato film…”

Né prima né dopo Mastorna vide mai la luce. A noi resta come poetico viatico di Fellini il suo strenuo saluto, La voce della luna, così da noi commentato con un incipit tutto devoto: “In principio è l’incantamento. Un quieto paesaggio notturno si distende tra brandelli di nebbia sotto la luna, enorme, ineffabile. Si sentono lontano, poi più vicino sempre più nitidi, brusii e rumori dei campi sommersi da una azzurra foschia. È la grande pianura… Nell’ora sospesa tra la sera inoltrata e la notte incalzante, la smilza, ondeggiante silhouette d’un ‘Pierrot lunare’ della sagoma chapliniana, il candido, disarmato Salvini s’affaccia stregato sull’orlo dei pozzi dai quali svaporano vaghe insidiose voci sfumate, indistinti bisbigli. Su tutto, su tutti, incombe tangibile un senso di intensa malinconia leopardiana legata ai controversi influssi della luna sul destino degli uomini, sull’ambiguo divenire della natura…”