La grazia boreale di Maeterlinck. Riflessioni intorno allo spettacolo “Interiors” di Matthew Lenton (2009), in occasione dell’imminente debutto di “1984” al Teatro delle Passioni di Modena

La grazia boreale di Maeterlinck. Riflessioni intorno allo spettacolo “Interiors” di M. Lenton

 

“Interiors”

Ideazione e regia di Matthew Lenton
Ispirato all’opera “Intérieur” di Maurice Maeterlinck
Con Robert Jack, Peter Kelly, Sara Lazzaro, Aurora Peres, Davide Pini Carenzi, Ann ScottJones, Rosalinda Sydney, Tamir Dodorovic
Scenografia e luci: Kai Fischer
Musica e suono: A. Macrae  Proiezioni video: Finn Ross  Costumi: Eve Lambert  Drammaturgia: Pamela Carter
Una creazione Vanishing Point

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E’ come nell’allegoria del profeta. Che dall’alto di un monte può vedere il prima e il dopo, soffermandosi sul presente, e senza particolari virtù divinatorie, anzi con attendibilità scientifica. A condizione che l’altitudine del monte gli offra uno spazio di osservazione di 180 gradi. Visualizzando: chi occupa la vallata destra della montagna (rispetto allo sguardo del profeta) non potrà mai sapere quel che egli già sa perché vede e pre-vede: un esercito, ad esempio, che dal versante sinistro si appresta ad attaccare chi, sul versante opposto, mostra di vivere in pace e prosperità. Più larga è la montagna più sarà il tempo dell’attesa, il tempo “necessario” a ché l’attacco giunga a compimento. Il profeta sa tutto ma non può fare nulla per deviare il corso delle cose.

Sedotto (senza resistenza alcuna) dal fascino, dal dettaglio figurativo di “Interiors” (titolo identico a quello di un film di Allen, raggrumato in ambienti di “cattività” domestica), l’allegoria del profeta sulla montagna mi accompagna per buona parte dello spettacolo, un’ora e venti senza intervallo. Segno che l’ “idea” è più invadente della estetizzante preziosità della messinscena? Non direi, poiché tutto è (figurativamente) avvincente, laborioso, colorato, miniaturizzato in questa “visita” alla poetica (alla cosmogonia poetica) di Maurice Maetelinck, poeta belga e cittadino del mondo, premio Nobel nel 1911- con una motivazione che potrebbe offrirsi quale chiave di lettura allo spettacolo degli scozzesi Vanishing Point, ovvero« Per le sue molte attività letterarie, specialmente per la sua opera drammatica, che si distinguono per la ricchezza d’immaginazione e la poetica fantastica, che rivela, a volte sotto forma di favola, una profonda ispirazione, mentre in un modo misterioso si rivolge ai sentimenti propri del lettore e ne stimola l’immaginazione. ».

E’ lo stesso vincolo di “Interiors”, del resto, a non rendere scindibile l’elemento figurativo dall’essenza enigmatica, favolistica, metapsichica con cui Maeterlink ci sussurra della “vita degli altri” come se egli fosse già, simbolicamente e fisicamente, non puro spirito ma coscienza pre- cognitiva d’ogni umana penuria, d’ogni anelito di vita e d’amore destinato (per naufragio tenero, crepuscolare) a sbaragliarsi nella caducità del “destino” appostato sull’altro fianco della montagna.

Poco o nulla accade infatti in quel che la scena rende palese come in un riquadro di acquario o sfera di cristallo che, agitandosi impercettibilmente, lascia cadere giù la sua neve posticcia, come nei souvenir della fanciullezza. Dietro la finestra di una casa di montagna, esposta al freddo “ed alle insidie” della notte polare, un gruppo d’amici si riunisce per la cena. Sembra una casa disneyana: vivace, policroma, vispa d’una allegria che defluisce nel perplesso pensiero. I convitati conversano e danno di mimica, ma è come se noi fossimo sordi.

Quel che percepiamo è soltanto il commento (le annunciazioni) di una voce fuori campo che gradatamente, e palesandosi per quel che è (creatura trapassata con voce cullante, sorniona, che ci assicura “presto ripasserò”), compierà quella congiunzione “fra il mondo dei i vivi e quello dei morti”, fra l’immediatezza festante e l’imminente futuro che, per nessuno dei commensali, sarà felice e appagante. Nel compiersi d’una (facile) simbologia scenografica che, mediante computer grafica, ingabbia ogni cosa nell’infinito, tedioso avverarsi della rotazione terrestre, anno dopo anno. Che il poeta si sia fatto vate? Non nascondiamo il fastidio dell’ipotesi, l’infido piacere, la rivincita sapienziale che la poesia, a volte, infligge alla banalità della vita.

Ma tutto è avvolto da una grazia notturna, boreale, da soffice e insidioso inverno nordico-con soffio porporino, come nelle leggende scandinave dei boschi incantati e dei folletti che sghignazzano invisibili alla  deperibilià delle nostre attese. Mentre il pensiero corre a dove diavolo intuì, la prima volta, l’ineludibile commistione di romanticismo e decadenza, di simbolismo e muto dolore, di cui son fatti i nostri sogni, progetti, paure del “mai mi accada”. Maeterlink non c’entra più nulla, o quasi. Era nei “Racconti di Dublino”, in Joyce, che tutto s’era compiuto- una volta per tutte.

Animata dalla perfezione stilistica di attori, regia e maestranze tecniche, la serata resta comunque memorabile

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ps  L’articolo di Angelo Pizzuto è  stato pubblicato, la prima volta, dalla rivista “Sipario” nel 2010

“Intérieur” di Maeterlinck annovera, in Italia, una prima traduzione scenica curata da D. Costantini al Teatro Tordinona di Roma (1985)