Anna DI MAURO – La storia di un sogno possibile (“Carena”, un progetto teatrale)
CARPENTIERI presentano
CARENA
dal Poema Carène di Yves Bergeret
traduzione di Francesco Marotta
adattamento teatrale di Anna Di Mauro con la consulenza di Yves Bergeret
REGIA – Anna Di Mauro
SCENOGRAFIA- Carlo Sapuppo. Aiuto scenografa Francesca Privitera
COSTUMI – Rosy Bellomia
IMMAGINI – Rita Stivale
AL SAX – Paolo Anile
VOCE FUORI CAMPO – Giuseppe Privitera
CON
Paolo Anile – Liliana Di Stefano – Francesco Gennaro –
Paola Mangano – Giuseppina Radice – Francesca Rando – Rita Stivale
e con Yves Bergeret e Pia Scornavacca
TEATRO COPPOLA
CATANIA
8, 9 DICEMBRE 2017 ore 21.00
Carena è l’Odissea dei migranti, degli stranieri, dell’Uomo, narrata in forma corale dal poeta francese e dagli stessi migranti dopo il loro incontro in una misteriosa isola (la Sicilia).
E’ una storia vera. La storia di uno straniero tra stranieri in un luogo mitico dell’Isola, Rondinò, dove il poeta inviterà gli uomini del Sahel a un laboratorio di scrittura. Le parole e il racconto della loro umana avventura confluiranno nel Grande Racconto degli uomini per fondare un Futuro. Per salvarci e salvare un’Europa ormai vecchia e stanca. I Carpentieri della Parola, insieme al poeta, con la parola costruiranno la Carena metaforica della nuova Arca, in una forma poetica a cui si contrappone il gesto del quotidiano, contaminata da vari materiali (ferro, legno, carta, tessuti, pietra, plastica).
In una sinergia costante di Art in action, i materiali saranno assemblati in installazioni da un’artista durante lo svolgersi delle scene, che avranno un andamento corale, da cui emergono per poi ritornare nel coro i protagonisti della vicenda narrata, in un fluire osmotico senza soluzione di continuità. Il linguaggio poetico impreziosisce la drammaturgia che scorre tra varie forme d’arte accostate in interazione costante: diversi codici linguistici, musica, video, installazioni. L’insieme concorre a configurare una complessità e un pluralismo antropico e artistico che sono alla base del progetto teatrale.
La Carena è simbolicamente un Nuovo Linguaggio di cui in questo nostro tempo sono portatori i migranti, uomini del futuro dalle arcaiche, sane radici, semi di una nuova genìa di Ulisse che, prosecutori ideali, dagli echi della savana, attraverso il mare, giungono in Sicilia, una terra mitica, grembo di dei ed eroi, per fondare insieme, con la Parola nuova, un mondo nuovo improntato ai valori della Bellezza, del Bene, del Vero. Uomini di fede e di buona volontà che vogliono crescere nella gioia di una comunicazione nuova, onesta, vera, creativa, come gli interpreti, volutamente attori non professionisti.
NOTE DI REGIA
Carena: dal buio alla luce.
Lavorare drammaturgicamente su un testo poetico della portata di Carena è stato difficile ed esaltante. Un’esperienza complessa e affascinante che mi ha fortemente coinvolto fin da quando l’autore, Yves Bergeret, mi ha proposto di mettere in scena il suo poema, proposta che ho accolto entusiasticamente, come una magnifica sfida.
Davanti ad un materiale così ricco e vasto, con umiltà e sincerità ho dovuto fare scelte difficili, a volte ostiche, ma necessarie e funzionali alla sua rappresentazione.
Nell’adattamento teatrale ho seguito dei criteri basilari su cui si è innervata tutta la struttura.
Il primo è la dimensione corale che ho scelto immediatamente di dare allo spettacolo, evocativa del teatro greco, che ha certamente una funzione estetica, ma anche sostanziale.
Il secondo è dare a Carena un taglio metaforico, la trasfigurazione di una realtà complessa di una storia vera con personaggi tutti realmente esistenti o esistiti, senza indugiare nei facili percorsi del vittimismo o della retorica, trattandosi di un tema già abbondantemente saccheggiato in tal senso.
Nella versione teatrale 8 personaggi raccontano in forma simbolica la storia di un sogno possibile, dove tutti insieme migranti, stranieri, all’amarezza di un Presente degradato sognano di sostituire la freschezza di un Futuro forte, limpido, onesto.
L’odissea dei migranti, veri e metaforici, (siamo tutti migranti in questa vita) qui diventa parte del Grande Racconto della Vita, forza e progetto coeso. Il Poeta, nell’azione drammaturgica interpretato da tutti i componenti del coro in rotazione, narra la sua e la storia degli uomini del Sahel, incontrati durante uno dei suoi innumerevoli viaggi in Sicilia, isola che qui assume una dimensione mitica, ponte di culture e di nuove dimensioni della vita. Invitati a scrivere insieme a lui in laboratori di scrittura, i migranti troveranno nella nuova parola cercata una fresca sorgente di speranza di un futuro che possa scardinare la “vecchia Europa imputridita…” come recita uno dei personaggi nel primo racconto.
Un terzo criterio è stato dare alla messinscena un tono variegato, dinamico, a volte ironico, con qualche guizzo umoristico, profilandosi nella riproduzione surreale di gestualità del quotidiano e del domestico, in cercato contrasto con la raffinatezza del verso, contrasto che, lungi dal diminuirne l’intensità e il valore, vieppiù li esalta, fuggendo da una seriosità che svilirebbe e appiattirebbe il significato intrinseco dell’opera.
Infine ho voluto il poeta, i migranti, i siciliani, tutti intercambiabili, sempre in scena, in uno scambio osmotico costante di ruoli, in una unità che si frantuma per poi ricomporsi, in un susseguirsi incessante di 21 racconti, quadri dinamici dove il confine è scandito e accompagnato dalla varietà dei suoni di un metronomo, di un sax, di percussioni con materiali naturali, dalle pietre ai legni, ai corpi, in una sinergia di varie arti e linguaggi, dalla scrittura alla scultura, alla musica, prevalentemente dal vivo, alle immagini proiettate, in un dialogo costante con la dimensione creativa, laddove l’atto creativo è l’unico modo possibile di realizzare un cambiamento.
Ne è scaturita una struttura fluida, frammentaria e unitaria al tempo stesso, aperta e flessibile come segno tangibile di questo percorso. Tutti stranieri, tutti migranti, tutti poeti, tutti carpentieri, a vari livelli e strati di comunicazione, per costruire una nuova barca, per andare oltre.
Un ultimo dettaglio non insignificante è avere scelto interpreti che non fossero canonicamente attori, ma generosi uomini e donne uniti da una comune tensione etica, volontari testimoni del loro impegno civico che li ha spinti ad abbracciare il progetto Carena, Carena materializzata in una grande scultura di fil di ferro, alla quale durante lo spettacolo la performer in scena darà una nuova veste. Protagonista simbolica di questa speranza, di questo sguardo al futuro, presenza muta e tangibile al centro della sala e del pubblico, la Carena della nuova Arca è la promessa che ci salverà dal Diluvio del nostro Tempo, solcando nuovi mari e nuove dimensioni dell’Essere.